sabato 30 giugno 2012

Altro giro, altra corsa!

"Decisione numero uno: ovviamente perdere dieci chili. Numero due: mettere sempre a lavare le mutande della sera prima. Ugualmente importante: trovare un ragazzo dolce e carino con cui uscire, evitando di provare attrazioni romantico-morbose per nessuno dei seguenti soggetti: alcolizzati, maniaci del lavoro, fobici dei rapporti seri, guardoni, megalomani, impotenti sentimentali o pervertiti. E soprattutto: non fantasticare su una particolare persona che incarna tutti questi aspetti"
 da "Il diario di Bridget Jones"

Ho visto questo film giusto qualche sera fa, durante una tranquilla serata casalinga dedicata alla cura delle unghie e della pelle.
Come sempre, è stato spassoso guardare le avventure della povera trentatreenne Bridget, perennemente in cerca del vero amore.
Ma voi, e qui mi rivolgo al pubblico femminile, per chi tifate durante il film? Per il buono, onesto, burbero e integerrimo Mark Darcy, o per quel bastardo, stronzo, fedifrago, pervertito di Daniel Cleaver?
So che la risposta "giusta" dovrebbe essere Mark: avvocato, serio, affidabile (sbadiglio!), onesto, sincero, rispettoso (ari-sbadiglio!). Sì va bene, ok, tutto quello che volete... ma non vi ha mai dato l'impressione che la cara Bridget si sia "accontentata" di Mark? Che, raggiunti i 33 anni, si sia resa conto che non si può pretendere la passione travolgente per sempre e che bisogna imparare ad amare qualcuno che ci accetta così come siamo? (sbadiglio all'ennesima potenza!).
Io, manco a dirlo, tifo sempre per Daniel. Prendete ad esempio la scena in cui lui e Bridget sono fuori per il weekend e nello stesso hotel incontrano Mark con la sua collega, che sono lì per lavoro: da una parte si vedono Bridget e Daniel che se la spassano e ridono come matti, dall'altra il compassato Mark che scuote la testa con disapprovazione. Eccheppalle!
Vabbè, direte voi, però poi Daniel la tradisce e la fa soffrire, mentre Mark si rivela un cavaliere senza macchia che, nel secondo film, la salva addirittura dalla prigione.
See, ok, ve lo concedo: nel secondo film Mark guardagna qualche punto. Ma la noia rimane. Così come rimane quella sensazione che Mark sia un ripiego: non potendo avere quell'alcolizzato, maniaco del lavoro, pervetito, guardone e spassosissimo Daniel, Bridget si accontenta di Mark che la ama senza particolari slanci, ma almeno è sincero ed equilibrato.
Diciamoci la verità: nella realtà fra i due non ci sarebbe storia. Non ho la presunzione di parlare per tutte le donne a questo mondo, ma credo di poter affermare che un buon 85% sceglierebbe un tipo alla Daniel (e il restante 15% non vuole ammetterlo).
Ci hanno insegnato che "non si fa", che bisogna sognare il vero amore e il principe azzurro, che la donna non si deve divertire MAI, che il massimo che può prentendere sono la serenità e la tranquillità, ma guai al Cielo se si diverte!
È ovvio che, quando per divertirti scegli un compagno di giochi un po' spericolato, insieme al divertimento sale anche il rischio di farsi male. Tuttavia, questa vi sembra una buona ragione per non farlo?
Bè, quando, dopo la scena madre di tutto il film, quella dove Daniel e Mark fanno a botte per Bridget e Daniel, con quella sua faccia da schiaffi le dice che la ama e che vuol tornare da lei, io penso sempre che lei si faccia una violenza a non cedere. E mi sale sempre un filo d'angoscia nell'accorgermi che Bridget, all'età di 33 anni (la MIA età di adesso), si rende conto che il tempo dei giochi è finito, così come sono finiti i sogni ad occhi aperti, le emozioni forti, i momenti in cui ti manca il respiro ed è giunto il momento di "mettere la testa a posto" e di smettere di voler fare giri sulle montagne russe, scegliendo una ben più tranquiila e rassicurante giostra di cavalli.
Bè... per quel che mi riguarda, voglio farmi ancora qualche giro sulle montagne russe!

martedì 26 giugno 2012

Fulmini e labirinti

Premetto che non sono una che segue i telefilm. Per due ragioni: 1. non riesco ad essere così costante (da ragazzina adoravo "Beverly Hills", ma dopo la quarta stagione mi sono stufata e ciao); 2. I personaggi a cui mi affeziono fanno sempre fini tragiche e io poi ci metto anni a superare il lutto: non ho superato la morte di Paolo in "Distretto di Polizia 4", e nemmeno quella del Conte Ristori in "Elisa di Rivombrosa 2" e vogliamo parlare della morte di Billy in "Ally Mc Beal"? E vogliamo parlare dell'abbandono di Jess in "Gilmore Girls"??  Quindi, dopo tutti questi lutti, ho deciso di smettere di guardare telefilm, italiani o stranieri che siano.
Mi capita però di guardare ogni tanto "Grey's Anatomy". E di solito mi trovo alla fine della puntata col nodo alla gola. Quel telefilm sembra che abbia tutte le risposte alle domande che mi sono fatta non solo negli ultimi mesi, ma in tutta la mia vita. E di solito le risposte che sento non mi piacciono, perché la maggior parte delle volte portano ad altre domande. Anche stasera, per esempio, è arrivata la frase ad effetto che è stata un colpo al cuore. Non mi ricordo la frase esatta, ma diceva più o meno: se arriva il momento giusto in cui sei in grado di voltare definitivamente pagina e tirarti fuori da una situazione che ti fa stare male, sei a cavallo. Il problema sta tutto in quel "SE arriva".
E giù lacrime.

Io non ci riesco, mai. Non riesco a trovare il modo di uscire dalle strade senza uscita, scusate il gioco di parole. E ho un sesto senso per trovarle, eh! Una capacità rara: se avessi un euro per tutte le strade senza uscita che ho scelto di percorrere, sarei ricca sfondata. Da una all'altra, mi sono ritrovata in un intricato labirinto in cui ormai continuo a girare a vuoto. 

Pare che un fulmine non cada mai nello stesso punto due volte. Non so se è vero (qualcuno più bravo di me nelle materie scientifiche potrebbe darmi questa risposta). Per quel che riguarda la mia vita, ho l'impressione di essere stata colpita dai fulmini più di una volta. E sempre mi sono rialzata, spesso più forte di prima, pronta ad affrontarne un altro, in attesa probabilmente di quello definitivo. Ma la domanda adesso è: lo faccio apposta? Me li cerco? Li attiro, questi maledetti fulmini? Forse sì.
Farò un'altra citazione da "Grey's Anatomy": "Quando ci dicono di non toccare una cosa di solito la tocchiamo anche se sappiamo di non doverlo fare. Forse perché, sotto sotto, cerchiamo solo guai". Sarà per questo motivo che mi ficco sempre in situazioni terribilmente complicate? Sarà per questo istinto di ribellione? Sarà perché la vita mi sembra noiosa e, come scrivevo qualche giorno fa, le donne vogliono tutto tranne la noia?
Mi toccherà aspettare la prossima puntata di "Grey's Anatomy" per avere le risposte in modo da poter ricominciare a farmi domande.
Ancora labirinti da affrontare.



lunedì 25 giugno 2012

Dammi le tue mani, ché la mia anima vi s'addormenti

Stamattina ho visto mia madre venirmi incontro molto divertita con in mano l'ennesima foto di me da piccola, una di quelle che non avevo mai visto o che non mi ricordo di aver visto.
La foto, tutta ingiallita e rovinata, mi ritrae all'età di circa un anno e mezzo. Ancora non sapevo camminare e mio padre mi aveva appoggiata con la schiena ad un muretto, così potevo stare in piedi senza essere tenuta per mano e lui poteva scattarmi le foto. Evidentemente, però, dopo un po' devo essermi scocciata, ma invece di fare la mia solita faccina imbronciata mi sono girata verso mio padre e gli ho teso le braccine, con un'espressione disperata. Mio padre, figuriamoci, per niente intenerito ha continuato a scattare e il risultato è stato appunto la foto che ora ho in mano.
Tutti sorridono quando la vedono. A me vengono i lacrimoni. Perché so che, sotto sotto, quella bambina sul punto di scoppiare a piangere, che cerca disperatamente di essere presa in braccio, salvata, consolata e rassicurata, esiste ancora. Solo che nessuno la vede.
Chi mi incontra vede la bambola, la maliziosa, la vanitosa, a volte la maestrina; spesso l'infermierina, la psicologa, quella che ascolta, quella che sa cucinare e risolvere i problemi, quella ribelle, quella incazzosa, quella che reagisce, quella che non si fa abbattere, quella che "non è da lei piangersi addosso".
Forse nessuno la vede perché so nasconderla bene quella bambina in cerca di aiuto, che tende le mani fiduciosa in attesa di essere salvata. O forse, semplicemente, nessuno si sforza di andare oltre, nessuno pensa mai che, anche chi ha un carattere apparentemente forte, anche chi è abituato a risolvere i problemi altrui, a volte ha bisogno di chiudere gli occhi e lasciarsi guidare da qualcuno.
A volte ci si sente così soli.
Io me lo ricordo quel giorno, quello della foto. Non mi ricordo gli eventi, ma in qualche modo mi è rimasta la memoria di quella sensazione di disperazione e di abbandono. Come faccio? Babbo, prendimi! Mamma, per favore! Ho paura. Sono sola e non riesco a camminare, prendetemi in braccio, mi fido di voi, pensateci voi!
Quante volte mi succede ancora... quante volte. Ma non c'è mai nessuno che mi prenda in braccio. Mai nessuno.


N.B. La frase che dà il titolo a questo post è tratta da una poesia di Luis Aragon.

martedì 19 giugno 2012

Non fate arrabbiare Afrodite...

A grande richiesta continuo a parlare di  personaggi della mitologia greca, in particolare di quella simpatica bastardella di Afrodite. Lo so che tutti se la immaginano buona, gentile e dolcemente maliziosa. Era la mamma di Eros e quindi nell'immaginazione comune è una specie di dolce fatina che dipensa ammmmòre. Macché. Afrodite era una vera stronzetta. Ma di quelle davvero toste. E per questo merita un posticino d'onore nella mia personale classifica delle donne da ammirare.
Non si sa di chi fosse figlia (forse di Zeus e Dione, forse di Urano i cui organi sessuali caddero in mare e generarono la dea), ma di certo si sa che uscì dalle acque spumose del mare. Appena uscita dal mare, Afrodite fu portata dagli Zefiri fino alla costa di Cipro. Qui fu accolta dalle Ore (non la rivista porno, eh, ma le divinità delle stagioni: Eunomia, Diche e Irene), che la vestirono e la agghindarono e poi la condussero presso gli immortali.
La bellissima dea amò davvero due uomini: Ares, il dio della guerra, e Adone.
Con Ares le cose non andarono tanto bene; lei era sposata ad Efesto, ma lo tradiva con Ares. E come darle torto: Efesto era brutto e di cattivo carattere, Ares...bè... c'è bisogno di aggiungere altro? Peccato che i due amanti non furono molto furbi e si fecero beccare; e quindi dovettero separarsi: lei fuggì verso Cipro e Ares verso la Tracia. Nel frattempo però avevano generato diversi fliglioli, fra cui Eros, dio dell'amore, Deimo e Fobo (il "Terrore" e la "Paura"), e pare anche Priapo, il Roccone Siffredi della Grecia Antica.  Se Priapo assomigliava al padre, e credo proprio di sì, si capisce dunque perché Afrodite aveva preferito Ares a Efesto. Già da questo si intuisce che la dolce Afrodite non è che fosse proprio una ingenua  e maliziosetta verginella di campagna...

Il secondo grande Amore di Afrodite (non si contano le scappatelle occasionali) fu Adone. Egli era figlio di Mirra, una giovane che, con l'inganno, era riuscita ad unirsi incestuosamente al proprio padre per undici notti di fila. La dodicesima notte il padre si rese conto dell'inganno e inseguì la figlia armato di coltello per ucciderla. Mirra allora chiese protezione agli dei che la trasformarono in un albero. Nove mesi dopo, la corteccia dell'albero si aprì e ne uscì Adone, un bambino straordinariamente bello. Afrodite fu colpita dalla bellezza del bambino e decise di raccoglierlo e di darlo in affidamento a Persefone. Quest'ultima però si invaghì anche lei del fanciullo e non volle restituirlo ad Afrodite. La diatriba tra le due dee fu risolta da Zeus, che decise che Adone avrebbe passato un terzo dell'anno con Persefone, un terzo dell'anno con Afrodite e un terzo dell'anno dove pareva a lui. E Adone scelse di stare due terzi dell'anno con Afrodite e solo uno con Persefone. E anche in questo caso è facile capirne il motivo: Afrodite era bellissima, Persefone...bè...era un tipo, diciamo.
Probabilmente a causa della gelosia di Ares il bell'Adone venne ferito a morte da un cinghiale. Afrodite appena seppe dell'incidente corse in aiuto del ragazzo, ma non potè fare nulla e la leggenda narrà che ella versò tante lacrime quante furono le gocce di sangue perse da Adone: da ogni lacrima nacque una rosa e da ogni goccia di sangue un anemone.

Fin qui le sfortunate avventure amorose della povera Afrodite. Ma famose sono anche la sua collera e le sue maledizioni! Adorabile stronzetta! Un giorno castigò tutte le donne di Lemno, perché non la adoravano, affliggendole con un odore nauseabondo, dimodoché i mariti le abbandonassero. Era capace di arrabbiarsi soprattutto con le donne: una volta punì le figlie di Cinira, a Pafo, costringendole a prostituirsi agli stranieri.
Un giorno la Discordia lanciò una mela, destinata ad essere accordata alla più bella tra Era, Atena e Afrodite. Zeus ordinò a Ermes di portarle tutte e tre sull'Isola di Troade, perché Paride le giudicasse. Le tre dee, pur di vincere, promisero dei regali a Paride: Era gli promise la monarchia universale, Atena l'invincibilità nella guerra. Quella furbetta maliziosa di Afrodite gli promise la mano di Elena. Ovviamente fu scelta lei: ed ecco chi c'è all'origine della guerra di Troia.
Come si fa a non adorarla? Anche perché, attenzione: se non lo fate, potreste cominicare a sentire uno strano odore provenire dal vostro corpo... io vi ho avvertito...

giovedì 14 giugno 2012

Quello che vogliono le donne? Tutto, tranne la noia!

Due giorni fa parlavo con un amico e, ovviamente, lui si lamentava delle donne e del fatto che nessuno al mondo ha mai capito cosa vogliano davvero.
Mi domando cosa ci sia da capire. Basta ascoltare un paio di canzoni di Mina e una di Marco Ferradini e il gioco è fatto. Più semplice di così...
Prendete ad esempio "Grande Grande Grande". Si potrebbe sintetizzare così: sei un bastardo, egoista e prepotente che come te nessuno mai, mi fai vivere malissimo, mi fai stare sempre in ansia e non mi fai stare tranquilla un secondo, ma cavolo! Questa è la vita vera! Mica come le mie amiche che si annoiano con accanto uomini normali! No, la vita vera sei tu, che in un attimo ... "sei grande grande grande".
No, non è stata scritta dalla moglie di Rocco Siffredi. La grandezza in questione si riferisce ad una caratteristica morale e non fisica. Almeno credo.
Ora, in che modo lui diventi grande "in un attimo", dopo essere stato una merdaccia (scusate il francesismo) per tutto il tempo, non è chiarissimo, ma tant'è. Il succo del discorso è che la donna non ama la normalità e anzi preferisce di gran lunga sentirsi sempre maltrattata e in guerra, cercando di guadagnarsi con fatica ogni gesto gentile, quasi elemosinandolo. Una cagnetta scodinzolante in attesa che il padrone le dia il croccantino. 
La stessa teoria la troviamo nell'unica canzone di successo del buon Marco Ferradini, "Teorema": le donne sono contente solo se le tratti male, perché "chi meno ama è il più forte" e allora devi essere tu il più forte e trattarla da vero bastardo. C'è un unico caso in cui devi dare il meglio di te, cioè a letto, ma ricorda che "fuori dal letto, nessuna pietà". E allora sì vedrai che t'amerà! Uhhh eccome! Ha ragione il caro Marco, che alla fine della canzone però si pente di essere stato così spietatamente sincero e si rimangia tutto in un banalissimo happy end che sciupa la genialità del testo.

L'ultima canzone da ricordare, e forse quella più esplicativa, è "Bugiardo e incosciente".
Il testo è una specie di flusso di coscienza (più alla Italo Svevo che alla James Joyce, a dire il vero) di lei che, mentre il bastardo sta dormendo, pensa e ripensa a quanto lui sia stato egoista e bugiardo, a tutte le cattiverie che le ha combinato, a quanto lo odia. E mentre pensa  si ripromette che, appena lui si sveglierà, gli urlerà che deve andarsene affancuffia e se ne andrà. Ah sì sì, lo farà, sicuro! Poi lui si sveglia e lei gli dice: "amore mio, ti amo!". E trallallero.
La canzone in questione è cantata da Mina, ma è stata scritta da un uomo (o meglio da un tupè con un uomo intorno), Paolo Limiti.  Il che dimostra che gli uomini lo sanno bene cosa vogliono le donne, solo che fanno finta di non saperlo per il gusto di lamentarsi. 
Principalmente le donne non vogliono che le si dia per scontate. E pur di non cadere nella routine, pur di sentirsi sempre desiderate e cercate, accettano, anzi sarebbe meglio dire preferiscono, farsi (farsi fare) del male. Perché "se lui mi sta sempre col fiato sul collo, se lui non mi lascia mai in pace un secondo, se lui alla fine torna sempre da me anche se litighiamo, vuol dire che mi ama davvero e vuole davvero stare con me!". Amano i narcisiti per soddisfare il loro proprio narcisismo, amano gli uomini "cattivi" per sentirsi diverse dalle amiche che scelgono di volersi bene senza farsi male, annoiandosi però tremendamente.
Certo, dovendo scegliere, preferirebbero un uomo non bastardo che le tratti da regine, non facendole mai sentire trascurate. Ma siccome pare che uomini così non esistano (o se esitsono, nessuna li ha mai visti), scelgono la guerra piuttosto che l'indifferenza, il dolore piuttosto che l'apatia, i pianti piuttosto che la noia.
Cosa c'è di difficile da capire?






sabato 9 giugno 2012

La rivincita delle bambole

Chi mi conosce bene, sa che ho per il rosa una vera e propria ossessione cromatica. Fosse per me, il mondo sarebbe così:


Alberi rosa salmone e fucsia, cielo rosa shocking e nuvole color cipria. Sarebbero rosa la pioggia e le pozzanghere, leggermente tendente al violetto il sole, il mare dello stesso colore del cielo e la sabbia con tutte le mille sfumature rosate... insomma, si è capito. Io amo il rosa oltre ogni cosa (e la rima non era voluta, ma ce la lascio perché mi piace!).
Se qualcuno non sa cosa regalarmi, di solito opta per un qualsiasi oggetto rosa, e io sono felice. Se poi è anche glitterato, mi vengono le lacrime agli occhi.
Gli anni novanta per me sono stati un dramma: tutto era minimal, solo bianco o nero. Non che non ami il nero, figuriamoci, ma se non esco con qualcosa di rosa addosso mi sento a disagio. A volte devo impormi di comprare cose di altro colore. E tuttavia il mio armadio trabocca di rosa, tanto che potrei fare concorrenza alla Barbie.
Ed eccolo qui, il grande problema (se di problema vogliamo parlare): il rosa, il glitter, il glamour sono di solito associati alle bambole. E se si pensa a una donna-bambola, ahimè, si pensa ad una con poco cervello.
Purtroppo un motivo c'è: fin dagli anni '50, fin dai tempi di Marilyn, la donna bambola, quella con le movenze bambinesche e solo apparentemente innocenti, con gli occhioni sgranati e le ciglia lunghe, è sempre stata presentata come svampita e oca.
Che dirvi? Non credo di essere mai stata svampita e oca, ma di certo sono sempre stata "bambola". Recentemente ho fatto alcune foto in stile "urban": volevo sembrare un po' una bad girl, di quelle incazzate col mondo. Il risultato? Avevo la faccia di una "bambinetta disgustata e annoiata", come mi ha fatto notare una cara amica, altro che bad girl!
Di fatto, la gente non mi riconosce e non mi gradisce in altra versione che non sia la solita: occhioni sgranati, guanciotte rosa, labbra color porpora. Bambola, dunque, che racchiude anche l'essere "bimba cattiva", ma sempre bambola.
D'altre parte, da bambina, non mi addormentavo se non mi veniva cantata "c'è una bambolina che fa no no no no nooo! È così carina ma fa no no no no nooo!".
Il problema è che spesso vengo guardata, specie dalle donne, specie da quelle che tanto si affannano a cercare di dimostrare attraverso la negazione della loro femminiltà di avere un cervello, con molta diffidenza. Perché una bambola non può anche avere il cervello funzionante, no? Come si può avere voce e modi da bambina e nascondere le palle sotto i jeans?
Ebbene, si può. Ve lo garantisco. Mettermi qui a spiegarvi i perché e i percome mi sembrerebbe un insulto a me stessa. Non ho bisogno di snocciolare voti, concorsi vinti o successi personali per garantirvi che non sono svampita e superficiale. Mi fanno un po' pena quelle che, pur avendo scelto lo stile "professoressa impegnata che ripudia qualsiasi tipo di accessorio che possa ricordare anche da lontano un minimo di femminilità", poi si sentono sempre in dovere di farti notare quanto sono preparate e quanto hanno studiato. Quando poi le becco in fallo, mi diverto a distruggerle psicologicamente innestando in loro il seme del dubbio: ommioddio, ho scelto di essere brutta per dimostrare di essere intelligente e ho fallito anche in questo?
Per quanto riguarda l'universo maschile, agli uomini piace la bambolina, si sa, da sempre. Il problema vero è convincerli che c'è una differenza sostanziale tra una donna bambola e una bambola gonfiabile. Alcuni tendono a confondere le due cose, purtroppo, vittime anch'essi del ragionamento "stile bambola=zero cervello=posso usarla come voglio". Poi però ci rimangono male quando scoprono le palle sotto i jeans (rosa, glitterati).


giovedì 7 giugno 2012

Perché Orfeo si è voltato? Tutta la verità.

Continuo a parlare di coppie sfigate della mitologia greca: Orfeo ed Euridice. Oh, sono sicura che il vostro piccolo cuore tenero avrà avuto un sussulto nel ricordare la tragica storia di questi due amanti... ma siete sicuri che vi abbiano raccontato la verità?
Orfeo era figlio di Eagro e di Calliope, la più importante delle nove Muse, ed era originario della Tracia. Suonava la lira e la cetra, di cui si dice fosse stato l'inventore. Orfeo sapeva cantare canzoni soavi e bellissime tanto da ammansire le bestie feroci e costringere gli alberi a piegarsi verso di lui. Già per questo motivo, il perfettissimo, cantantissimo, inventorissimo Orfeo mi sta sugli zebedei. Lui con la sua lira, a cui aveva pure aumentato il numero di corde, da sei a nove, per omaggiare le Muse, che appunto erano nove. Pfui, ruffiano!
Partecipò alla spedizione degli Argonauti, ovviamente senza remare: lui era capovoga, e dava la cadenza ai rematori. Cantando, salvò tutto l'equipaggio mentre le Sirene cercavano di sedurre gli Argonauti: siccome lui era il più troppissimo bravissimo, oscurò perfino il canto delle Sirene e salvò tutti.
Orfeo si innamorò di una ninfa, Euridice, e la sposò. Un giorno che la povera ninfa stava passeggiando lungo un fiume della Tracia, fu inseguita da un certo Aristeo, che voleva violentarla. Lei, scappando fra l'erba, pestò un serpente che la morse, uccidendola. Orfeo la pianse disperato e subito decise di scendere agli inferi per cercarla. Seppe commuovere le divinità infernali coi suoi canti e ottenne il permesso di riportarla alla vita, ma a patto di non voltarsi mai a guardarla prima di averla riportata alla luce del sole. Euridice lo seguiva e i due stavano quasi per uscire dal mondo infernale quando Orfeo, non riuscendo a resistere al desiderio di rivederla, si voltò. Subito una forza irresitibile trascinò Euridice agli inferi e Orfeo dovette tornare nel mondo dei vivi da solo.
Ora, io mi chiedo: quale parte di "non ti devi voltare fino a che non sei uscito dagli inferi" non aveva capito il perfettissimo Orfeo? Una sola cosa doveva fare, perdindirindina! Possibile che non sia riuscito a resistere? Cavoli, lo sanno tutti che gli uomini sono capaci di fare chilometri senza mai voltarsi per guardare la compagna che arranca dietro di loro. Ce ne sono alcuni che hanno dimenticato la moglie all'autogrill e se ne sono accorti dopo centinaia di chilometri, possibile che lui, il perfettissimo, non abbia saputo resistere per due miseri, brevissimi metri?
Alcuni hanno voluto vedere in Orfeo una figura di "Hybris", intesa in questo caso come tracotanza umana, che troppo osa non fidandosi degli dei: si vuol dire insomma che Orfeo si sia voltato perché non si fidava di ciò che gli era stato promesso dagli dei degli inferi e volesse controllare che davvero Euridice lo stesse seguendo. Sì, ma perché non aspettare, nel dubbio, di essere comunque uscito? Ormai era quasi arrivato...
C'è un racconto molto bello di Gesualdo Bufalino, "Il ritorno di Euridice", che forse può darci una risposta a questo interrogativo. Il racconto è visto dalla parte di lei, che, ovviamente, dopo aver visto il suo uomo scendere agli inferi per salvarla e poi fallire proprio sulla linea d'arrivo, non sa darsi pace e continua a chiedersi perché:

"Quale Erinni, quale ape funesta gli aveva punto la mente, perché, perché s'era irriflessivamente voltato? "Addio!" aveva dovuto gridargli, "Addio!" (...) E così, risucchiata dal buio, lo aveva visto allontanarsi verso la fessura del giorno, svanire in un pulviscolo biondo (...) Ma non sì da non sorprenderlo, in quell'istante di strazio, nel gesto di correre con dita urgenti alla
cetra e di tentarne le corde con entusiasmo professionale (...) tutto gia bell'e pronto da esibire al pubblico, ai battimani, ai riflettori della ribalta (...).
Non s'udiva altro rumore che il colpo uguale e solenne dei remi nell'acqua. Allora Euridice si sentì d'un tratto sciogliere quell'ingorgo nel petto,
e trionfalmente, dolorosamente capì: 
Orfeo si era voltato apposta".

Eccolo lì, dunque, il vero motivo! Eccolo, un altro narciso innamorato di se stesso e della propria fama. Gira che ti rigira, con gli uomini si arriva sempre alla stessa conclusione. E così anche la povera Euridice, che aveva sposato un insospettabile, che era certa dell'amore che lui le dimostrava, ha dovuto fare i conti con l'amara realtà: nel momento in cui Orfeo è stato costretto a scegliere, ha scelto se stesso. Non solo, lo ha fatto da vigliacco, facendo credere a tutti di non aver saputo resistere alla tentazione di rivedere il volto di lei. 
Eppure basta leggere i "Dialoghi con Leucò" di Pavese per avere la conferma, direttamente dalle parole di Orfeo, di quanto sia stato bastardo:


"L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore (...). Ho capito che i morti non sono più nulla (...) Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai."

Mal comune mezzo gaudio, Euridice: consolati. A tutt'oggi ancora nessuna donna è riuscita nell'impresa di farsi amare da un uomo, non dico di più, ma almeno quanto se stesso. Continuiamo a incontrare uomini che si voltano quando non devono o che non lo fanno quando invece dovrebbero.





martedì 5 giugno 2012

La tristezza di amare (un) Narciso

Eco e Narciso: che coppia triste. Lui non era certo campione di simpatia, lei non brillava per intelligenza... come poteva finire se non in modo tragico?
Ma partiamo dall'inizio: figlio del dio del Cefiso e della ninfa Liriope, Narciso nacque bellissimo e biondissimo (o almeno così me lo immagino). Quando divenne adulto tutte le ragazzine si innamoravano di lui. Ma lui, figuriamoci, non se le filava nemmeno. Me lo immagino passeggiare con aria spavalda, un po' alla Tony Manero, mentre guarda le ninfette che sospirando si gettano ai suoi piedi, con l'aria di chi pensa "levati, pupa, io sono Narciso! C'è di meglio per me!". Bè, dato che le donne tutto possono sopportare tranne che il rifiuto, le giovani disprezzate da cotanta bionda virilità si incazzarono non poco e chiesero vendetta al Cielo.
Nemesi, quella simpatica personificazione della Vendetta Divina, che ogni donna vorrebbe avere come migliore amica, sentì le preghiere delle fanciulle rifiutate e furibonde e decise di aiutarle. Fece quindi in modo che un giorno di grande caldo, dopo la caccia, Narciso colto da sete improvvisa si sporgesse su una sorgente per dissetarsi e ... ohhhh! vedesse il proprio volto, così bello, ma così bello da innamorarsene all'istante. Fu talmente colpito dalla sua immagine riflessa che si ripiegò su se stesso e si lasciò morire. Nel punto in cui morì spuntò il fiore che porta il suo nome. Pare che anche da morto, ai bordi dello Stige, continuasse a cercare di specchiarsi per distinguere i suoi amati lineamenti. Ricordate Buffalo Bill de "Il silenzio degli innocenti"? "Io mi scoperei, mi scoperei a non finire!". Tale e quale.
Eco era una ninfa dei boschi e delle sorgenti, anche lei innamorata di Narciso, anche lei brutalmente rifiutata. Invece di incazzarsi e reagire come fecero tutte le altre, la dolce Eco decise di ritirarsi in solitudine, smettendo di mangiare e dimagrendo fino a scomparire. Di lei rimase solo la voce lamentosa che ripeteva le ultime sillabe delle parole che sentiva pronunciare.
Diciamoci la verità: questi due non ispirano simpatia né compassione. Per passare alla storia son dovuti morire entrambi. In realtà la vera punizione per loro sarebbe stata l'essere costretti a stare insieme, perché sarebbero diventati una coppia come tante se ne vedono tutt'oggi: lui, in perenne adorazione di sè, sempre alla ricerca di qualcosa di meglio e lei invisibile e triste al suo fianco, rassegnata e disillusa. Sarebbero diventati squallidamente banali, tristemente compatiti dagli amici che, uscendo con loro a cena, li avrebbero guardati pensando "spero di non diventare mai come voi".
La morte li ha resi leggenda e li ha salvati da un destino ancor peggiore.
Mi viene in mente una poesia di un poeta francese di inizio Novecento, Raymond Radiguet, che parla proprio di Eco e Narciso.
Vi saluto così, oggi.

Tu ti sposi con la morte
senza l'assenso degli dei;
ma il suicidio è un barare
che ci fa odiosi ai giocatori,
e ci preclude al loro cielo.

I morti che non si aspettano
vanno su e giù davanti al cielo
foglie morte le loro anime
preda dei venti, dei quattro venti.

Poiché in cielo si resta con gli anni
che si avevano all'arrivo
si dà la morte Narciso.
Non vi trova alcun vantaggio
se non il gusto del rimorso.

Se tanto teneva al suo volto
perché non pensò di annegarsi
nel fonte d'eterna giovinezza?
Tu, colomba scompagnata,
di' a cosa può giovarti
il ripetere di questo sciocco
l'ultima parola? Ascoltiamo
Eco in mezzo a questo boschetto,
sei tu colomba o pappagalletto?

Di quest'ultimo ti avvali,
pigrona, per far le smorfie
ai dolci detti che il tuo Narciso
non ebbe cura di proferire.

Lui, Narciso, ch'erra nelle valli
della morte e di roccia in roccia
lei nella vita, si equivalgono.
Li avvicina questa indolenza;
Che bella coppia avrebbero fatto!

Raymond Radiguet, "Tu ti sposi con la morte" (1920)

lunedì 4 giugno 2012

Fuori dal tempo

C'è un posto qui a Zambra, il minuscolo paese in provincia di Pisa dove abito, che amo più di ogni altro. Prendendo la piccola strada che si avvia verso il vecchio cimitero e che si snoda tra i campi che adesso, a primavera inoltrata, sono tutti verdissimi e costeggiati di papaveri, si arriva vicino ad un grande campo di grano (vi prego, niente citazioni di Battisti) davanti al quale c'è appunto il cimitero con accanto tre grandi pioppi. Quando c'è un po' di vento, le foglie dei pioppi fanno un rumore che è difficile da decrivere: come tanti campanellini lievi lievi, che ragalano una pace infinita. Bè, se non c'è pace al cimitero...







Niente di ciò che circonda quel luogo evoca una sensazione di inquietudine o dark, come si potrebbe pensare. Lì c'è solo la natura e il silenzio, rotto da qualche passante in bicicletta o dal canto delle cicale in estate. Sembra di essere su un altro pianeta, sembra di essere anni luce lontani dalla vita di tutti i giorni.
Nel piccolo cimitero ci sono tutti i morti della mia famiglia, a partire dai nonni di mia nonna. Io lo chiamo "il cimitero vintage", perché tantissime lapidi riportano date e fotografie risalenti all'800. Ogni volta mi viene da pensare che alcune fotografie che si vedono sulle lapidi sono state scattate quando il Manzoni scriveva la versione definitiva de "I promessi sposi". Più vintage di così...
Qualche mese fa ho sognato che volevano costruire un grande centro commerciale in quel luogo fuori dal tempo e io mi opponevo e urlavo di no. Non si vive di solo shopping.
Vado lì quasi ogni giorno, ormai. E anche se non credo affatto alla "corrispondenza d'amorosi sensi" di fronte ad una tomba (perdonami, Foscolo!), perché credo che quando uno è morto non sia più in nessun luogo (sicuramente non su questa terra, volendo credere aldilà) e men che mai in una minuscola bara in un minuscolo cimitero, trovo che, dovendo "dormire per l'eternità", non si possa pensare ad un posto migliore di quello.
In ogni caso, è un luogo che mi voglio godere da viva finché posso.