sabato 22 settembre 2012

...in a Barbie world...

Chi non conosce la Barbie? La bambolina sorridente, col fisico della velina (che negli anni è cambiato, prima era più formosa, adesso è dimagrita) e i capelli quasi sempre platinati è stata il simbolo glamour per quasi tutte le bambine dal 1959 (anno della sua "nascita") ad oggi. La Mattel, la casa produttrice, ha dichiarato che attualmente si vendono circa tre Barbie al secondo.
Come tutti sanno, Barbie ha diversi amici e un fidanzato, Ken (con il quale è stata in "pausa di riflessione" dal 2004 al 2006). Ken è alto, biondiccio, palestrato e, manco a dirlo, sorridente pure lui.
La caratteristica peculiare di Barbie e Ken è che entrambi non hanno attributi sessuali. Lei ha sì le tette (che negli anni si sono ridotte di un paio di taglie) ma senza capezzoli, e... LÀ SOTTO non c'è nulla, zero, niente di niente. Idem lui.
Eppure...
Eppure alzi la mano chi, da preadolescente, non ha giocato con Barbie e Ken immaginandoli in situazioni pruriginose: Barbie dal dottore, Barbie la prima notte di nozze, Barbie che tradisce Ken con Big Jim, Ken che tradisce Barbie con una sua amica e via discorrendo.
Ebbene, la fotografa canadese Mariel Clayton ha reso queste fantasie realtà. Non solo: è andata oltre, immaginando una Barbie amante delle orge, del sesso estremo, sociopatica, assassina, assetata di sangue. Sempre col viso perfettamente truccato e sorridente, Barbie è capace di compiere qualsiasi nefandezza senza scomporsi e senza rinunciare allo stile e alla moda.
Mi pare evidente che nelle intenzioni della Clayton c'è quella di profanare e distruggere il mito di Barbie: la perfettina non è poi così perfetta, mai lasciarsi ingannare dalle apparenze.
Gli scenari delle fotografie sono curatissimi in ogni dettaglio e, nonostante siano spesso terrificanti, non infastidiscono lo spettatore, perché anche nel delitto Barbie non perde la sua aria snob e tutto appare piatto, finto e plastificato come lei.
L'odio della Calyton verso la povera Barbie è evidente.
La genialità di queste foto anche. In fondo tutte noi, quando immaginavamo certi scenari con Barbie e Ken, non facevamo altro che ribellarci all'immagine che volevano imporci: tu fai una bambola asessuata? E io la rendo una pervertita!
Tu fai una bambola perfettina? E io la spettino, le taglio i capelli, le stacco la testa.
Per quel che mi riguarda, non ho mai profanato la Barbie dal punto di vista fisico, ma solo sessuale, e infatti le foto che preferisco della Clayton sono proprio quelle in cui Barbie è...come dire... una donna moralmente discutibile!
Godetevi alcune foto:





















giovedì 20 settembre 2012

La borsa o la vita!

A volte le donne non sanno perdere. Ok, togliamo "a volte" e ricominciamo: le donne non sanno perdere. E siccome sono una donna, mi impegno tanto per vincere. Non sempre ci riesco.
Due sere fa, ho vinto.
Ma partiamo dall'inizio. Come tutte le fashion victim sapranno, il 18 settembre si è svolta, per la prima volta a Firenze, la Vogue Fashion's Night Out. Obiettivo della serata: accaparrarmi l'esclusiva Dark Bag di Braccialini, la borsa di Catwoman in edizione super stra mega limitata. Come mi ha detto Consuelo "una vera bimba cattiva deve averla!".
Sapevo che la vendita non sarebbe iniziata prima delle 19, sapevo che la borsa sarebbe stata in vendita solo per quella serata e che a Milano, il 6 settembre, tutte le borse erano andate esaurite nel giro di pochissimo tempo.
Piano di battaglia studiato insieme a Mary: arriviamo lì alle 18, ci mettiamo in fila armate di pazienza ed eventuali coltelli molto affilati e all'ora x ci avventiamo sulla borsa come leonesse affamate su una bistecca.
La vera mossa vincente è stata la scelta delle scarpe: quando arriviamo a Firenze siamo circondate da donne di ogni altezza, forma ed età, vestite come alle sfilate, con scarpe dai tacchi vertiginosi. Mary ed io abbiamo optato per jeans e ballerine. Ok essere fashion, ma se bisogna lottare si deve essere comode!
Mentre ci dirigiamo verso la boutique Braccialini notiamo tre signore che arrancano sui tacchi 12, che hanno la nostra stessa meta; con abile mossa, perfettamente a nostro agio nelle ballerine comode che indossiamo, le raggiungiamo e le superiamo, talmente veloci che le loro gonne di chiffon si alzano al nostro passaggio, salutandole con la manina e un sorriso cortese ma pieno d'astio. Non vi lasceremo la Dark Bag, care megere griffate!
Arriviamo davanti al negozio e, anche se in anticipo di un quarto d'ora, entriamo. Le borse sono già lì, pronte per essere acquistate, accarezzate ed amate. Guardiamo la commessa con aria minacciosa e le chiediamo: "possiamo acquistare la borsa o dobbiamo proprio aspettare le 19??". La commessa non ha avuto il coraggio di dirci di no. Due minuti dopo usciamo sulla strada con le nostre buste. Siamo state le prime. Abbiamo vinto.
Durante la serata scopriremo poi che le borse erano state quasi tutte prenotate dai vips e dai clienti "di serie A" e che quelle "libere" erano una decina.

Passiamo il resto della serata girovagando tra i negozi; una breve tappa per cenare all'Hard Rock Cafè e poi di nuovo sulla strada.
Alla Fornarina una minuscola borsa viola cangiante è l'oggetto esclusivo della serata: "ma che è, la borsa della Barbie? Che ci dovrei fare con questa?" chiedo a Mary che prontamente risponde "bè... quando vai a ballare almeno sai dove mettere i preservativi!".
La fila davanti al negozio di Patrizia Pepe è impressionante: tutte vogliono la maglietta limited edition della serata. Noi nemmeno ci proviamo: abbiamo già il nostro prezioso bottino!
A La Rinascente è meglio che a Natale. È tutto molto glamour, molto fashion, molto frivolo!
Nel chiostro di Palazzo Antinori visitiamo la mostra mercato degli stilisti emergenti, dove si possono acquistare foulards in pura seta, belli e colorati, a 45 euro.
Rolex dà un party esclusivo, Tiffany ti concede l'entrata libera nel suo negozio. Ovunque camerieri che ti offrono spumante e cocktail, musica a tutto volume e folla in delirio!
Difendiamo le nostre borse dagli sguardi invidiosi delle donne rimaste a bocca asciutta e decidiamo di venir via quando la notte è ancora giovane. Siamo stanche ma soddisfatte e adesso ci ritroviamo con una super esclusiva borsa che non metteremo mai...
Ma volete mettere la soddisfazione??















martedì 11 settembre 2012

"Sono su un aereo. E' stato dirottato. Ti amo tanto. Di' ai miei figli che li amo tanto"

Tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo. Sto parlando dell'undici settembre 2001, il giorno in cui due aerei si schiantarono contro le Twin Towers a New York, durante l'attacco terroristico che, di fatto, ha cambiato il mondo intorno a noi e ha profondamente ridimensionato il concetto di libertà che avevamo fino a quel momento. Pensavamo di essere invincibili, inattaccabili, completamente liberi di fare quel che volevamo. Per noi la guerra era una cosa studiata sui libri di scuola, talmente lontana da noi da risultare talora quasi inverosimile.
Le scene che vedemmo quel giorno in tv eravamo abituati a vederle al cinema, e ciò che ci costringeva a stare davanti agli schermi, rincorrendo un notiziario dopo l'altro, era proprio l'incredulità di chi pensa "ma come è possibile che sia accaduto davvero?".
Io stavo guardando "Ally McBeal". Erano più o meno le tre del pomeriggio, stavo anche lavando i piatti. Ricevetti una telefonata da un'amica che mi disse "Guarda cosa è successo! Metti subito su Raiuno!".
E quello che vidi è ciò che continuiamo tutti a vedere, ogni anno: le torri fumanti, la persone che si gettavano nel vuoto, il crollo, la gente disperata e impaurita, la polvere, i pompieri... una storia che conosciamo a memoria, eppure continuiamo a ripetercela in modo quasi ossessivo.
Ciò che mi ha sempre colpito e rattristato di più sono state le telefonate di coloro che si trovavano sulle torri e  sugli aerei dirottati, che avevano capito che sarebbero morti: telefonate disperate lasciate sulle segreterie telefoniche o fatte in fretta e furia, per dire un'ultima volta "ti voglio bene", "ti amo" "non dimenticarmi".
Mi sono sempre domandata cosa avrei fatto io. Chi avrei chiamato. Probabilmente avrei provato a chiamare i miei genitori, gli amici e le persone più care, ma, e questo potrà sembrare paradossale, la prima chiamata sarebbe stata per qualcuno non certo dei miei sentimenti nei suoi confronti. I miei genitori e le persone che mi sono vicine da una vita sanno con certezza ciò che provo per loro. Non so speigare bene perché, ma la primissima telefonata credo la farei per rendere qualcuno sereno, per dirgli "ti voglio bene davvero", per togliergli qualsiasi dubbio.
Gli direi di pensarmi qualche volta e gli augurerei tutto il meglio.
E poi lo saluterei citando una frase, tratta da "Molto forte, incredibilmente vicino", romanzo la cui vicenda ruota attorno proprio alla tragedia dell'undici settembre:

"... è tragico poter vivere una sola vita, perché se avessi due vite una l'avrei passata insieme a te."

Il mio ricordo dell'undici settembre non passa attraverso le frasi fatte. Non voglio parlare di politica, di polemiche, di ipotesi di complotto. Potrei parlare della paura che da allora ci accompagna, di come guardiamo con sospetto una valigia lasciata incustodita alla stazione o dell'angoscia che ci pervade quando dobbiamo salire su un aereo. Ma sarebbe solo demagogia.
L'undici settembre è stato, principalmente, la tragedia delle famiglie e di coloro che si volevano bene e si amavano ed è a loro che, oggi più che mai, va il mio pensiero. Perché di questo, dei sentimenti, della paura, dell'angoscia di perdere qualcuno a cui si vuole bene, di questo solo voglio parlare.

N.B. La frase che dà il titolo a questo post è la telefonata di Ceecee Lyles, una hostess che si trovava sul volo United Airlines 93 (quello che si schiantò in Pennsylvania senza raggiungere l'obiettivo), lasciata sulla segreteria telefonica del marito.