martedì 19 agosto 2014

Parlare a "genero" perché Bova intenda

Insomma la lettera che Annamaria Bernardini de Pace ha scritto sulle pagine de "Il Giornale", indirizzata a un "genero degenero", non sarebbe a quanto dicono dedicata a Raoul Bova, come tutti avevamo pensato. Dice la Sig.ra Annamaria che tale missiva fosse una "finzione letteraria", scritta appositamente per una rubrica del giornale intitolata "Lettere d'Estate". Tanto che adesso è comparsa una lettera di risposta del "genero", anche questa una finzione, che porta la firma di Angelo Mellone.
Sarà vero. Per carità, non abbiamo nessuna prova che quella lettera fosse scritta per Raoul Bova, ex marito di Chiara Giordano, figlia dell'avvocato Bernardini de Pace, la più famosa matrimonialista d'Italia.
Però.
Però, cavolo, tutti coloro che scrivono, anche quelli che come me lo fanno per puro divertimento personale, senza arte né parte, lo sanno: quando si scrive una cosa, sia pure per finzione, non si può non attingere alla propria esperienza personale, al proprio vissuto.
Certo è che la Sig.ra Annamaria, nel momento in cui ha scelto di rivolgersi a "un genero", non può non aver pensato al suo. E anche la scelta di scrivere proprio ad un presunto marito della figlia la trovo quantomeno singolare, considerando che avrebbe potuto rivolgersi a chiunque, magari a una nuora, visto che si trattava di "pura finzione letteraria".
Il fatto è che, leggendo la lettera, ci sono un po' troppe coincidenze: il genero in questione ha tradito la figlia della suocera che scrive. E fin qui, ok. Anche Raoul ha tradito, ma da solo questo dettaglio non basta per dichiarare senza ombra di dubbio che il destinatario sia lui. Poi però la suocera nella lettera continua a descrivere quest'uomo: uno che mostrava di sè sempre il lato migliore, quello di buon padre di famiglia e di marito esemplare. Uno che non avresti mai pensato potesse tradire. E gia qui il dubbio comincia a venire, considerato che Bova ha sempre dato di sé e della sua famiglia un'immagine che nemmeno Guido Barilla osa sognare quando pensa ai consumatori ideali della sua pasta.
Continuando a leggere, molti altri indizi si aggiungono: quest'uomo ha tradito con una più giovane e bella, e guarda caso la nuova fidanzata di Raoul ha 25 anni ed è una modella; questo genero ha negato che la nuova relazione sia la causa della fine del suo matrimoni, e Bova più di una volta ha dichiarato che il suo matrimonio era in crisi da tempo e che la nuova compagna non ha influito in nessun modo con la decisione di separarsi.
Potrei continuare ad elencare le curiose coincidenze, ma la verità è una sola: che sia vero o no, ormai  per l'opinione pubblica quella lettera è stata scritta per vendetta ed il destinatario, per tutti, era proprio Bova.
Dato che considero Annamaria Bernardini de Pace una persona sveglia, acuta e intelligente, mi domando come abbia potuto non pensare a quanto avrebbe messo in ridicolo la figlia.
La povera Chiara Giordano ha dovuto sopportare già tante cose: prima il sentirsi dire costantemente quanto non fosse abbastanza bella per un marito così, poi le corna pubbliche, con tanto di commenti "per forza! Lei era una bruttina, prima o poi lui l'avrebbe tradita con una più giovane e bella!". Ed ora, come ciliegina sulla torta, sua madre scrive in quella maledetta lettera: "ti concedo che mia figlia sia un po' rigida" e poi, non contenta, fa anche commenti sulla potenza sessuale del genero: "la tua forza sessuale ha la durata di uno spot".
Io credo che non spetti alla suocera, per quanto cazzuta, fare commenti del genere.
Io credo che la moglie, o ex moglie, abbia il diritto di stare in silenzio, di urlare, di incazzarsi pubblicamente, di difendersi o di attaccare, ma di farlo da sola. Alla già tremenda figura di donna con le corna, ora si aggiunge anche quella di donna senza palle che ha bisogno della mammina per essere difesa?
Poco importa che fosse "finzione letteraria": chi ha scritto quella lettera doveva ben sapere che tutti avrebbero pensato a fatti e persone realmente esistenti e, forse proprio perchè era una finzione, avrebbe dovuto maggiormente tutelare sua figlia ed i suoi nipoti. E perché no, anche l'ex genero, che per quanto sia stato poco corretto, non credo si meriti che la suocera gli dia pubblicalmente del bugiardo, vigliacco, sleale e pure impotente.
Ho paura che questa "vendetta" sia stata un boomerang, cara suocera!


mercoledì 13 agosto 2014

Ombre che camminano

Oggi mio nonno, 81 anni, commentando la notizia del suicidio di Robin Williams mi ha detto: "Non capisco che problemi avesse! Era famoso, aveva i soldi, era sposato. Uno di solito è depresso per un problema serio, perché non riesce a pagare il mutuo o a dar da mangiare alla sua famiglia... ma lui aveva tutto!"
Già, mio nonno viene da una generazione in cui tutto era molto più facile: il mondo si divideva in bianco, nero e pochissime altre sfumature di colore. Se eri felice, ridevi, se eri triste, piangevi; e se eri triste c'era sicuramente un problema reale, tangibile. Le persone si riunivano la domenica e per le feste comandate, e quando erano tutte insieme erano contente di esserlo, e tutte erano presenti fisicamente e mentalmente. La guerra poi aveva insegnato a tutti che il diritto alla vita non era scontato, che la libertà era un lusso, e che entrambe le cose bisognava guadagnarsele lottando. E se uno lotta per qualcosa poi se lo tiene stretto, gli dà il giusto valore.
Oggi, noi fortunati che nasciamo liberi e protetti, viviamo in un mondo ben più complicato perché da soli ce lo complichiamo. Il benessere ci ha portato frustrazione e infelicità perenni. Siamo sempre connessi, in contatto fra di noi, eppure da soli. Ci incontriamo con gli altri, parliamo con loro, ma lo facciamo in non-luoghi in cui le infinite ombre di noi stessi scelgono cosa mostrare nelle vetrine che tutti guarderanno. Le nostre risposte non sono mai genuine, ma sempre ponderate, pensate, scelte con cura a seconda di cosa vogliamo essere in quel momento: il buono, il cinico, il cattivo, il polemico, il romantico.
Raramente siamo presenti fisicamente e mentalmente nello stesso luogo: siamo ad una cena, siamo ad una festa e pensiamo a fotografarci per mostrare sui social quanto ci stiamo divertendo. Ma spesso il nostro divertimento finisce nell'istante stesso in cui abbiamo caricato la foto. Da quel momento inizia l'attesa del commento, del mi piace, della condivisione.
Viviamo circondati dal buio perenne dell'insoddisfazione, buio che ogni tanto è attraversato da una scia di luce effimera ma molto luminosa che ci illude di essere ancora capaci di sperare e che ci fa dire "ma sì, in fondo la vita è bella e vale la pena di essere vissuta!". Siamo talmente abituati all'infelicità, che ci accontentiamo di pochi sprazzi di contentezza e ce li facciamo bastare per tirare a campare.
Quando tutto si spegne, e anche i pochi istanti di luce non ci sono più, il buio ci inghiotte.
Eppure possediamo tutto. E spesso chi possiede di più è proprio colui che soffre di più. Ma è inutile possedere tutto se siamo circondati di niente. Di niente di reale, di tangibile, magari anche pericoloso ma che ci manterrebbe vivi, vigili, presenti. 
Ormai c'è solo il Nulla che avanza come ne "La storia infinita".
"Siamo soli nell'immenso vuoto che c'è", cantava Raf.
Ecco cosa ci uccide.

mercoledì 18 giugno 2014

Delitto di Motta Visconti: le conseguenze del non amore

Quattro giorni fa, mentre tutta Italia era in trepida attesa della partita di esordio della nostra Nazionale ai Mondiali in Brasile, a Milano un uomo di 31 anni, padre e marito esemplare, ha avuto un rapporto sessuale con la moglie e poi, ancora in mutande, è andato in cucina, ha preso un coltello ed ha ucciso prima lei e poi i suoi due bambini piccoli che dormivano al piano di sopra. Dopodiché si è cambiato, è uscito ed ha raggiunto gli amici al pub per guardare la partita.
Ci sarebbero molte cose da dire su questa storia  purtroppo simile a molte altre che in questi anni hanno riempito le pagine di cronaca nera; e le cose da dire, in fondo, rimangono sempre le stesse: è un mostro, si merita punizioni esemplari, è una cosa orribile, come si fa a sterminare la propria famiglia... e via dicendo.
In questo specifico caso, però, sono due le cose che mi hanno colpito in modo particolare. La prima è l'uso (e l'abuso) della parola "amore". Il marito "ha fatto l'amore con la moglie", è sempre stato "un padre amorevole", ha commesso quel tremendo delitto dopo "essersi innamorato di una collega di lavoro". Ecco, la prima cosa che ho pensato è che l'amore, in tutta questa vicenda, non c'entri proprio niente. Un uomo capace di amare davvero, pur amando magari in modo imperfetto (ma poi qual è il giusto modo di amare?), non potrebbe mai commettere una mattanza del genere giustificandosi poi con un "ho ucciso lei perché non avevo il coraggio di chiedere il divorzio e i figli perché comunque col divorzio restano lo stesso"; non potrebbe mai uccidere due bambini nel sonno e poi andare ad esultare per un gol. Un uomo capace di amare, non potrebbe uccidere in nome dell'amore, anche se si tratta di un amore clandestino condannato dalla morale e dalla società. Se lo fa è perché non ama. Nemmeno se stesso.
Quell'uomo ha ucciso in nome del non amore, un non sentimento subdolo e spaventoso: proprio perché sospeso in quella terra di mezzo chiamata apatia, non è condannato con ferocia, non è considerato un'aberrazione, non è additato come il male peggiore. Eppure lo è.
Quell'uomo non amava se stesso, la sua vita, la sua famiglia e nemmeno l'altra donna; e ha semplicemente reagito come se fosse in un videogioco: non mi piace quello che sto facendo, cancello tutto e ricomincio. Ho letto da qualche parte l'opinione di uno psichiatra, che è agghiacciante: "voleva tornare a giocare da solo". Ecco la vera parola che dovrebbe sostituirsi ad "amore": "ha giocato con la moglie, giocava sempre coi bambini, voleva cominciare a giocare con un'altra".

La seconda cosa che mi ha particolarmente colpito in questa bruttissima storia è stata che lei, la moglie, quando si è sentita colpire al collo da una coltellata, per prima cosa non ha chiesto aiuto, non ha cercato di scappare. No, lei ha chiesto ripetutamente "perché". Quasi come a dargli una possibilità di giustificarsi, quasi come una bambina che, punita dai genitori, chiede il motivo pensando "devo aver fatto qualcosa di brutto, altrimenti mamma e papà non sarebbero così arrabbiati con me!". C'è un atto di profonda fiducia in quel chiedere "perché". Cosa ho fatto? Ti sei arrabbiato? Non mi faresti una cosa del genere se non avessi fatto qualcosa di grave! Tu mi vuoi bene, se arrivi a farmi questo ci deve essere un perché.
Questo pensiero mi strazia: una donna colpita a morte continua a dare la possibilità al suo assassino, che è anche suo marito e padre dei suoi figli, di darle una spiegazione come se fosse implicito che abbia sbagliato lei.
Chissà se prima di morire, mentre sicuramente pensava con terrore a quello che, dopo, quel coltello avrebbe fatto ai suoi bimbi, ha capito quello che noi, dopo quattro giorni, ancora fatichiamo ad accettare: non c'è un perché. Dovremo imparare a rassegnarci all'incomprensibile.

martedì 29 aprile 2014

Nymphomaniac: la mia (non richiesta) opinione

Avete visto "Nymphomaniac" Vol.1? Io sì, ed a breve andrò a vedere il Vol.2, appena uscito nelle sale italiane.
Lo consiglierei? Sì. Mi è piaciuto? Sì. Perché? Non lo so.
Premetto di non essere una grande amante dei film d'autore e di trovare noiosi molti film considerati dei capolavori dalla critica e da gran parte del pubblico. Questo per dirvi che, se non mi sono annoiata io, vuol dire che il film non è affatto noioso. Certo, se uno va con l'intenzione di vedere pornografia, scene eccitanti e maliziose, rimarrà molto deluso.
Questa la storia: in una grigia serata, mentre sta tornando a casa a piedi, il vecchio Seligman incontra in un vicolo, svenuta e ferita, Joe. Subito si avvicina a lei, offrendole aiuto ed ospitalità a casa sua. Ed è così che Joe, una volta rifocillata ed al sicuro, comincia a raccontargli la sua vita di ninfomane, partendo proprio dall'inizio, fin da quando era bambina.
Non mancano le scene esplicite, in "Nymphomaniac", non mancano organi genitali in primo piano. Ciò che manca è la perversione, la ricerca dell'eccitazione del pubblico e, anche se può sembrare strano per un film in cui per la maggior parte del tempo la protagonista non fa che raccontare le sue avventure sessuali sempre più squallide e degradanti, manca del tutto la volgarità.
Ho letto molte recensioni e molte opinioni diverse su questa opera di Lars von Trier. Alcuni sostengono che questo film parli essenzialmente della ricerca di amore. Io credo che invece, almeno nella prima parte, la pellicola parli principalmente di apatia. La protagonista è alla perenne ricerca di emozioni che non riesce mai a provare. Anche quando trova l'amore, o almeno crede di trovarlo, alla fine si rende conto di non riuscire a sentire niente lo stesso.
E proprio per far capire allo spettatore questa perenne indifferenza a tutto ciò che la circonda, questo distacco, credo che il regista abbia volutamente reso neutre le scene di sesso, che sono eccitanti quanto può esserlo un documentario sulla vita dei pinguini. 
Quando la giovane Joe piange, e lo fa più di una volta durante lo svolgersi della storia, non piange perchè prova un sentimento, al contrario: piange perché si accorge che niente, nemmeno la morte del padre adorato, riesce a cambiarla ed a renderla meno impermeabile alle emozioni. Piange per se stessa, non per gli altri: non prova rimorso per ciò che le sue azioni, in alcuni casi terribili, provocano in coloro che incontra nel corso della sua esistenza. Qualcuno potrebbe obiettare che piangere sia un atto decisamente contraddittorio per un'insensibile. Eppure a volte si piange anche per insensibilità. Si piange per frustrazione. Si piange per egoismo.
Nel raccontare la sua vita di donna mai sazia di sesso al vecchio Seligman, uomo colto, appassionato di scienze e musica (in una evidente contrapposizione tra istinto e ragione), l'adulta Joe non fa che darsi addosso tutto il tempo, sottolineando continuamente quanto lei si senta una persona orribile, perduta, sporca. Ma sta cercando di convincere il suo interlocutore, gli spettatori o se stessa? Forse vuol convincere se stessa, in modo che, una volta presa coscienza di quanto davvero sia squallida la sua vita, potrebbe cominciare a provare rimorso e, chissà, pietà per se stessa e per gli altri?
Devo ancora rispondere a queste domande.
Forse è proprio questa la forza del film: farsi domande senza riuscire a darsi risposte su ciò che si sta vedendo. Trovarsi di fronte allo squallore di una ragazzina che si svende per un pacchetto di cioccolatini senza esserne scandalizzati. Guardare l'accidia della protagonista ed esserne contagiati nonostante sullo schermo vengano inquadrati peni e vagine come se piovesse.
Aspetto di vedere la seconda parte, magari darò una risposta alle mie domande.
Intanto guardatevi questo film indefinibile e cercate anche voi le vostre domande.

martedì 4 marzo 2014

Vudù prêt-à-porter

Avete mai sentito parlare del Vudù? Bè, sì, chi non ne ha mai sentito parlare? L'autorevole voce di Wikipedia la presenta come "una delle religioni più antiche del mondo, estremamente complessa e ricca, nata dalla sintesi delle varie espressioni spirituali africane e di alcuni elementi cattolici, originaria dell'Africa e poi diffusasi nelle Americhe, a causa della deportazione degli schiavi." E bla bla bla.
In realtà, lasciando da parte tutte queste nozioni, che se volete potete andare a leggere anche su fonti un po' più serie ed attendibili di Wikipedia (che per carità, sempre sia lodata, se non avessi lei!), bisogna decisamente dire che il Vudù è ricordato principalmente per le bambolette da trafiggere con gli spilloni. La bambola rappresenta la persona a cui è destinato il rituale e gli spilloni sono gli strumenti grazie ai quali, trafiggendola, possiamo far in modo che accada qualcosa al destinatario. In realtà si potrebbe anche usare per cose belle, per guarire qualcuno da una malattia ad esempio, ma in realta tutti, proprio tutti tutti, quando nel corso della loro vita hanno pensato "ah, se avessi una bamboletta vudù...!" lo hanno fatto con intenti tutt'altro che benevoli. Io compresa.
Tuttavia non è semplice procurarsi o costruirsi una bambola: e ci vogliono i capelli della persona destinataria, e ci vogliono erbe magiche particolari, e ci vogliono spilloni di un certo tipo, e servono preghiere, e ci vuole il bagno purificatore, e ci vuole un sigillo magico, e la rava e la fava!
Quindi, come si fa a lanciare una maledizione a qualcuno in maniera veloce ed a basso costo? Cercando su Google (no, non avevo intenzioni cattive, era solo per amore della conoscenza...ehm...) mi sono imbattuta in un sito sul quale si possono lanciare maledizioni semplicemente scrivendo il proprio nome, il nome del destinatario e l' "augurio" che gli si vuol fare. E oplà, il gioco è fatto. La cosa bella è che tutti possono leggere le maledizioni altrui.
Così, scorrendo la lista, mi sono imbattuta in maledizioni di tutti i tipi: c'è l'insicuro, che lancia la stessa maledizione 10 volte così ci sono più possibilità che arrivi, c'è la cornuta "che le donne con cui mi hai tradito ti facciano soffrire sessualmente e ti lascino impotente", c'è l'amante-politicamente corretta "che Debora ti lasci in malo modo, facendoti fare brutta figura come ti meriti! Così poi ti metti con me", la gelosa "a tutte le troie che ci provano col mio ragazzo, spero che diventiate delle ragazze inguardabili!"; c'è l'incendiaria "la tua casa in fiamme e tuo marito che ti tradisce", la tricologa vendicativa "che ti cadano tutti i capelli", quello che non si vuole sporcare le mani "che tu possa picchiarti da solo", c'è il pignolo "dolore per il corpo: testa, gambe e mani"; c'è la stacanovista "il lavoro tocca a me, non a te!", la generalista "che ti accada qualunque cosa!", lo studente che sceglie l'ultima spiaggia "che la professoressa di matematica sia costretta a mettere 8 a tutte le interrogazioni e a tutti i compiti!", le DUE amichette di letto che tutti vorrebbero avere "che ti vengano le emorroidi, herpes, piattole e sifilide", la giustiziera "che tu possa soffrire quanto hai fatto soffrire me! Non troverai mai un'altra donna fedele ed innamorata, solo solitudine e tristezza nella vita ti aspettano!"(questa, ad onor del vero è una cosa che abbiamo pensato un po' tutte, confessiamolo, anche senza riti vudù di mezzo).
C'è poi tutta una sottocategoria di veri cattivi, cioè quelli che augurano la morte: c'è il laconico "muori", l'amante dello splatter "che un autobus ti investa davanti a me", il sadico "morte lenta e dolorosa", lo specialista "che ti venga un tumore ai polmoni", la teatrale "muori, puttana!", la tizia che ama le soluzioni estreme "devi crepare e non fare più sesso con nessuno", l'impaziente "devi crepare adesso all'istante", la lettrice di Dante "che tu possa bruciare all'inferno!", l'amante del dialetto "te possa sciopà er fegato!",  ed infine il militante di partito che a un famoso politico dice " che ti venga una gangrena al tuo piccolo corpo grasso e speriamo ti esplodano gli occhi vacui di triglia cotta".
Potrei andare avanti per ore. Non vi metto il link del sito per non fargli pubblicità, che certamente non si merita.
Ho voluto far apparire la cosa ridicola, per farci due risate, anche se ci sarebbero tantissime riflessioni da fare su tutto questo. Chiedersi, ad esempio, quanto odio la gente sia capace di provare, ma anche quanto male le persone facciano ai loro simili tanto da spingerli a covare tutta questa rabbia.
Dico solo, per sdrammatizzare, che per fortuna aveva ragione mio padre che, quando da bambina avevo paura dei fantasmi e dei malocchi, mi diceva sempre:  "Michela, è dei vivi che devi aver paura e delle cose tangibili. Se la gente potesse far male a distanza, saremmo tutti morti!".

giovedì 20 febbraio 2014

Mi ameresti così, se fossi ancora viva?

Ultimamente, forse perché ho assistito impotente a due lutti improvvisi che hanno sconvolto la piccola comunità in cui vivo, penso spesso alla morte: alla mia, a quella delle persone che amo. E mi sono domandata se, quando si perde improvvisamente qualcuno che si ama tanto, si riesca a superare il rimpianto di non avergli detto certe cose quando era ancora in vita. Perché, come ho avuto già modo di scrivere altrove, credo che alla morte ci si possa rassegnare, essendo qualcosa di inevitabile per tutti, ma credo che non ci si possa perdonare di non aver fatto una cosa semplice, facile e banale come quella di dire una parola dolce in più.
Mi è venuta in mente una poesia, letta da qualche parte un po' di tempo fa, di Lőrinc Szabó, poeta ungherese semisconosciuto in Italia. Il poeta si rivolge ad una donna amata e morta. Fa pensare, questa poesia: quante volte non pensiamo alla fortuna che abbiamo? Quante volte pensiamo che certe cose, che certe persone possano durare per sempre? Quante volte rimangono solo nei pensieri le parole che invece potrebbero, dovrebbero!, arrivare alla bocca?
Fa pensare quella frase finale, che il poeta immagina gli venga detta dalla donna che lui ama tanto e che non c'è più:


Sono così felice, ardentemente,
d'amarti anche così, col mio dolore,
e vivo solo per tenerti in me
e non debbo evocarti per sentire
che sei qui: tu con gli occhi sognanti
e angosciati a osservare
questo destino che mi conduce
e mentre vecchi paesi s'accendono
e gli anni, penso che anche tu t'accendi,
tu, che la trovi al fondo del tuo cuore
la mia tenerezza dolente.


Ora è il dolore la felicità,
ed è questo ad unirci; e più ancora
(e mai tanto così completamente!)
quando un sorriso un po' ironico passa
sulla dolcezza del tuo viso, e a me,
forse per pungermi, dici
(ma piena di fiducia e comprensiva):
"Mi ameresti così
se fossi ancora viva?"



Lőrinc Szabó, Solitudine

martedì 21 gennaio 2014

Mea Culpa


"La credenza che esistono esseri quali le streghe è parte cosi essenziale della Fede cattolica che il sostenere ostinatamente l'opinione opposta sa manifestamente di eresia."
Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer, Malleus Maleficarum, 1487

 "In realtà non ci sono state streghe, ma i terribili effetti della credenza nelle streghe sono stati gli stessi che se le streghe fossero realmente esistite"
Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano II, 1879/80



 Ok, lo ammetto: anch'io ho ceduto alla tentazione di scrivere battutine più o meno becere sul caso della suora di Rieti che ha partorito un bimbo.
Però, pensandoci seriamente, mi chiedo se la giovane donna in questione, perché è una donna, questo non va mai dimenticato, si meriti un trattamento del genere. In fondo, lei non ha fatto proprio nulla di male: ha fatto sesso, che l'abbia fatto per piacere personale o per amore poco cambia. Ha tradito un voto, ma a noi che importa? Se la vedrà con Dio al massimo; ammesso che Dio, se esiste, sia così vendicativo da punire una donna che mette al mondo un figlio, per quanto frutto di un atto che i credenti considerano peccaminoso.
Ma soprattutto mi piace pensare che, se Dio esiste, visto che a quanto pare dovrebbe essere più perfetto ancora di Mary Poppins, metta fine a questa distinzione tra uomini e donne almeno nell'aldilà e cominci a punire le persone per quello che fanno e non per il loro genere. Perché diciamolo: di preti che vanno con le prostitute è pieno il mondo. Io vivo in un paesino in cui, diversi anni fa, un parroco si ammalò di AIDS perché era solito frequentare transessuali che mercificavano il loro corpo sulle strade. Eppure in quell'occasione nessun giornale, nessun programma tv, nessun rotocalco si è occupato della faccenda. La notizia non è nemmeno uscita dal paesello: già a 10 km di distanza nessuno sapeva nulla. A volte ho l'impressione di essermela sognata, se non fosse che ho chiesto conferma ai miei vicini di casa che hanno memoria del fattaccio.
Ora mi domando: perché una donna deve essere sbattuta in prima pagina, presa in giro e messa alla gogna e un uomo no? Perché i preti pedofili devono essere protetti dalla Chiesa, nascosti sotto il tappeto dell'omertà e una donna che ha fatto l'amore, che ha partorito un bimbo, che vuole fare la mamma deve subire questo pubblico ludibrio, questo atto di bullismo di massa?  
"Se la guardi e provi desiderio, perciostesso essa è una strega" così scriveva Umberto Eco ne "Il nome della rosa". 
La caccia alle streghe è sempre aperta, dunque. E si nasconde anche nelle battute più stupide; e nessuno di noi ne è immune. La donna, ancora, non è perdonabile se si macchia di un peccato così tremendo come quello di pensare di essere padrona del proprio corpo.
Lasciamola in pace, ora. Abbiamo fatto le nostre risatine, abbiamo già acceso i nostri piccoli roghi sulle bacheche di facebook. Adesso, se proprio dobbiamo accanirci, facciamolo su chi fa del male ai bambini, non su chi li partorisce. Facciamolo su chi ruba, su chi commette atti criminali, su chi discrimina e perseguita ed uccide. Non su chi cede ad una debolezza. E smettiamo di giudicare le donne, suore o meno, solo perché in possesso di una vagina che abbiamo la presuzione di sapere come, quando e perché debba essere usata.

domenica 19 gennaio 2014

Valérie e Julie: cosa non fare quando si ama un narcisista

Se potessi, consiglierei a Valérie Trierweiler ed a Julie Gayet, rispettivamente ex compagna (da poco ex) ed amante (da parecchio tempo) del Presidente francese Hollande, di guardarsi un film: "Gli infedeli". Magari potrebbero organizzare una di quelle serate tra donne, fatte di pigiama e calzettoni, di patatine e coca cola, di cioccolata e cuscini da abbracciare, in cui le donne si confidano e si consolano, raccontandosi a vicenda le loro peripezie amorose. Il film parla, appunto, di uomini infedeli e si divide in sette episodi, tanti quanti sono i registi che lo dirigono. Si vedono quindi tutti i tipi di infedeltà: chi lo fa per collezione, chi per evadere da rapporti di coppia ormai logori, chi per cercare conferme, chi per cercare evasioni estreme. Ma tutti, tutti, lo fanno perché amano soprattutto se stessi. Forse, Valérie e Julie, invece di essere nemiche tra loro, capirebbero di essere entrambe sulla stessa barca. Forse Valérie capirebbe quanto è stata ingenua e credere di poter cambiare un uomo, a credere di essere diversa, a credere in quella favoletta in cui molte donne credono: "Con me sarà diverso, io lo salverò, con quella di prima non andava perché non l'amava!". Già, perché lui, Monsier le Président, era già sposato con Ségolène Royal. Poi aveva conosciuto Valérie, che aveva portato via il marito alla povera Ségolène e, non contenta, si faceva beffe di lei su Twitter. 
Forse Julie, la bella attrice attuale amante del Presidente, dovrebbe riflettere su questa storia e chiedersi quanto tempo passerà prima che anche a lei tocchi la stessa sorte. Perché in Francia c'è un detto: l'amante che prende il posto della moglie, lascia il posto vuoto ad un'altra amante. 
Gli infedeli, mie care Velérie e Julie, sono dei narcisisti. E sapete cosa capita a donne che si innamorano dei narcisisti? Prima pensano di essere su una nuvola, pensano di vivere una passione fuori dal comune, pensano di essere speciali, pensano "ma io non potrò mai vivere una relazione stabile, serena ma anche noiosa come quella delle mie amiche". Poi però si trovano a dover ingoiare lacrime amare oppure, come è successo a Valérie, si trovano in ospedale per aver preso qualche pillola di troppo. 
Amare un narcisista traditore seriale si può, eccome se si può. Si può vivere in modo non noioso, bevendosi la vita a grossi sorsi, vivendo su una perenne montagna russa e rifiutando la vita di donne che scelgono le relazioni stabili e senza troppi scossoni. Basta essere consapevoli che uomini così vi guarderanno negli occhi per vedere il loro riflesso, non per guardare voi. Basta sapere che voi sarete importanti fino a quando rappresenterete l'evasione, il gioco, la passione; fino a quando non comincerete ad avere delle aspettative, a pensare di volere una famiglia stabile e ad imporre a questi narcisisiti di guardare oltre il loro riflesso. 
Questo Valérie lo ha capito tardi, forse Julie è sempre in tempo per capirlo: nonostante il posto vacante di moglie, se fossi in lei mi terrei stretto quello dell'amante. E se passasse un uomo interessante e interessato davvero a me, scapperei a gambe levate.