martedì 11 settembre 2012

"Sono su un aereo. E' stato dirottato. Ti amo tanto. Di' ai miei figli che li amo tanto"

Tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo. Sto parlando dell'undici settembre 2001, il giorno in cui due aerei si schiantarono contro le Twin Towers a New York, durante l'attacco terroristico che, di fatto, ha cambiato il mondo intorno a noi e ha profondamente ridimensionato il concetto di libertà che avevamo fino a quel momento. Pensavamo di essere invincibili, inattaccabili, completamente liberi di fare quel che volevamo. Per noi la guerra era una cosa studiata sui libri di scuola, talmente lontana da noi da risultare talora quasi inverosimile.
Le scene che vedemmo quel giorno in tv eravamo abituati a vederle al cinema, e ciò che ci costringeva a stare davanti agli schermi, rincorrendo un notiziario dopo l'altro, era proprio l'incredulità di chi pensa "ma come è possibile che sia accaduto davvero?".
Io stavo guardando "Ally McBeal". Erano più o meno le tre del pomeriggio, stavo anche lavando i piatti. Ricevetti una telefonata da un'amica che mi disse "Guarda cosa è successo! Metti subito su Raiuno!".
E quello che vidi è ciò che continuiamo tutti a vedere, ogni anno: le torri fumanti, la persone che si gettavano nel vuoto, il crollo, la gente disperata e impaurita, la polvere, i pompieri... una storia che conosciamo a memoria, eppure continuiamo a ripetercela in modo quasi ossessivo.
Ciò che mi ha sempre colpito e rattristato di più sono state le telefonate di coloro che si trovavano sulle torri e  sugli aerei dirottati, che avevano capito che sarebbero morti: telefonate disperate lasciate sulle segreterie telefoniche o fatte in fretta e furia, per dire un'ultima volta "ti voglio bene", "ti amo" "non dimenticarmi".
Mi sono sempre domandata cosa avrei fatto io. Chi avrei chiamato. Probabilmente avrei provato a chiamare i miei genitori, gli amici e le persone più care, ma, e questo potrà sembrare paradossale, la prima chiamata sarebbe stata per qualcuno non certo dei miei sentimenti nei suoi confronti. I miei genitori e le persone che mi sono vicine da una vita sanno con certezza ciò che provo per loro. Non so speigare bene perché, ma la primissima telefonata credo la farei per rendere qualcuno sereno, per dirgli "ti voglio bene davvero", per togliergli qualsiasi dubbio.
Gli direi di pensarmi qualche volta e gli augurerei tutto il meglio.
E poi lo saluterei citando una frase, tratta da "Molto forte, incredibilmente vicino", romanzo la cui vicenda ruota attorno proprio alla tragedia dell'undici settembre:

"... è tragico poter vivere una sola vita, perché se avessi due vite una l'avrei passata insieme a te."

Il mio ricordo dell'undici settembre non passa attraverso le frasi fatte. Non voglio parlare di politica, di polemiche, di ipotesi di complotto. Potrei parlare della paura che da allora ci accompagna, di come guardiamo con sospetto una valigia lasciata incustodita alla stazione o dell'angoscia che ci pervade quando dobbiamo salire su un aereo. Ma sarebbe solo demagogia.
L'undici settembre è stato, principalmente, la tragedia delle famiglie e di coloro che si volevano bene e si amavano ed è a loro che, oggi più che mai, va il mio pensiero. Perché di questo, dei sentimenti, della paura, dell'angoscia di perdere qualcuno a cui si vuole bene, di questo solo voglio parlare.

N.B. La frase che dà il titolo a questo post è la telefonata di Ceecee Lyles, una hostess che si trovava sul volo United Airlines 93 (quello che si schiantò in Pennsylvania senza raggiungere l'obiettivo), lasciata sulla segreteria telefonica del marito.

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