martedì 31 gennaio 2012

La rabbia che apre gli occhi

Notte da lupi: vento freddo e neve impediscono a tutti di mettere il naso fuori casa e io mi riparo al calduccio della mia camera, sotto le coperte. Mi sembra di sentire lo stesso freddo nel cuore e nella mente. E per quello non c'è copertina termica che tenga, quello è un freddo che difficilmente se ne andrà. 
In questi quindici giorni ho affrontato una "rivoluzione sentimentale", ho dovuto scegliere di stare male per evitare di stare ancora peggio in futuro. Ma ovviamente, di fronte all'angoscia e alla disperazione di certe nottate, più volte mi sono domandata se avessi fatto la scelta giusta. Dire addio a qualcuno non è facile; dirglielo sentendosi accusare di avergli rovinato la vita, anche se razionalmente so che non è vero, è quasi impensabile. Più volte ho desiderato tornare indietro e "rimediare", perché il dolore era troppo insopportabile; un po' come quando devi affrontare una cura particolarmente forte, che ti causa sofferenze peggiori del male che stai curando e in qualche modo pensi che preferiresti il dolore ormai familiare della malattia, anche se magari ti sta portando alla morte.
Poi però, ogni tanto, nei rari e brevi momenti di lucidità, riuscivo ad aver ben presente la distinzione tra bene e male, tra giusto e bagliato e allora mi convincevo che sì, quella era la scelta giusta, che finalmente avevo ripreso in mano la bussola e, pur non sapendo ancora qual era la via giusta da percorrere, se non altro avevo riconosciuto e scartato quella più sbagliata possibile.
In questi quindici giorni ho anche aspettato, combattuta fra il senso di colpa e la frustrazione, in preda a sentimenti contraddittori, cercando di lottare contro quella parte di me che ancora voleva rimanere ancorata ai ricordi degli ultimi due anni. Ho aspettato, dicevo, che arrivassero quelle parole che mi avrebbero aiutata, che arrivasse un "mi dispiace", che arrivasse un "nonostante tutto ti ho voluto e ti voglio bene". Ma quelle parole non sono arrivate. Tendendo l'orecchio, in silenzio, con tutti i sensi rivolti verso il cuore di una persona che, bene o male, ha condiviso con me due anni della sua vita, l'unico rumore che ho sentito è stato quello del mio, di cuore, che scricchiolava sempre più forte fino a spezzarsi del tutto. Non c'è stata comprensione, mai, per la mia sofferenza. Per due anni ho accettato umiliazioni, ho chiesto perdono anche quando non avevo sbagliato, ho chiesto scusa se stavo male, ho creduto a bugie e inganni a tal punto da cambiare irrimediabilmente il corso della mia vita. Ho aiutato, ascoltato, consolato, curato... e tu che stai leggendo, adesso, puoi mentire a tutti, ma non a te stesso. Tu sai cosa hai fatto. Cosa MI hai fatto.
Oggi ho avuto, per la prima volta, una visione lucida di me stessa e mi sono fatta rabbia; le lacrime, gli psicofarmaci, le nevrosi, gli attacchi di panico, i sensi di colpa: di colpo è sparito tutto, inghiottito da una rabbia assurda, improvvisa e accecante. E allora ho deciso che di fronte alla sofferenza vera non esiste il "politicamente corretto", non esiste il perdono a oltranza per chi non chiede mai scusa. Una cosa mi hanno insegnato fin da piccola: ad ogni azione corrisponde una reazione. Io ho sempre pagato per i miei sbagli. Adesso, che paghi qualcun altro per i suoi: non è vendetta, è giustizia.

lunedì 30 gennaio 2012

"Mission Impossible": la vita noiosa della signora Hunt

Due giorni fa sono andata al cinema a vedere "Mission Impossible: protocollo fantasma". Che dire? Adoro quella saga! È talmente assurda che, ogni volta che guardo uno dei film che la compongono, mi sembra di andare al luna park! Divertimento puro, tante cazzate e zero pensieri!
Inutile dire che adoro il personaggio di Ethan Hunt, interpretato dall'ormai cinquantenne Tom Cruise, sempre molto fascinoso (anche se coi capelli tinti). Avevamo lasciato l'imbattibile Ethan sposato con una dottoressa che, proprio alla fine del film precedente, aveva scoperto che il suo maritino non faceva il rappresentante ma la spia per l'IMS (unità speciale della C.I.A. che svolge missioni ad alto rischio dette anche "impossibili"), e lo aveva scoperto dopo (nell'ordine): essere stata rapita, essere minacciata di morte, aver visto il marito che uccideva una quantità non ben precisata di spie nemiche, averlo visto "morire" con una scarica elettrica per neutralizzare una micro carica esplosiva che aveva nel cervello e averlo dovuto "resuscitare" subito dopo con la respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco.
In questo nuovo film ritroviamo il bell'Ethan in una prigione russa, i suoi amici e colleghi del reparto Missioni Impossibili lo vanno a liberare perché il Governo americano ha ancora bisogno di lui per salvare il mondo. Che ne è della mogliettina? Bè, questo lo scoprirete guardando il film.
La cosa sicura è che nessuna donna la invidia. Certo, il marito è bellissimo e fighissimo, sa sempre cosa fare, non ha mai paura, non perde mai la calma, corre alla velocità della luce, scala le montagne a mani nude, sa sparare ai nemici andando in moto in retromarcia e senza mani, salta dal milionesimo piano di un grattacielo al milionesimo piano di un altro grattacielo e tutto senza mai avere un capello fuori posto! Però... vi rendete conto che vita d'inferno deve fare quella donna? A parte l'ansia nella quale è costretta a vivere (ogni volta che squilla il telefono perde come minimo un anno di vita), anche uscire a cena per loro è impensabile perché il cameriere potrebbe essere una spia e aver nascosto nel cibo un veleno; di fare una vacanza non se ne parla perché il bell'Ethan ha la reperibilità 24 ore su 24 e potrebbe arrivargli in qualsiasi momento un "messaggio che si autodistruggerà entro cinque secondi" nel quale gli viene detto di dover salvare il mondo e quindi addio crocierina sul Nilo (e in ogni caso, lui che è capace di svegliarsi in Russia, pranzare a Dubai e cenare a Mumbai che se ne farebbe di una misera, banalissima crocierina sul Nilo?). Ma poi, ci pensate a quella povera disgraziata quando deve fargli un regalo? Cosa puoi comprare a uno che ha i guanti "prensili" per scalare i grattacieli come un geco? Uno che per sapere la strada per arrivare al primo Mc Donalds telefona, col super cellulare satellitare, direttamente alla C.I.A? Uno che per vedere se c'è fila all'uscita dell'autostrada fa spostare i satelliti?
Che vita tremenda deve essere quella della signora Hunt! Che poi, diciamocela tutta, che lui faccia il rappresentate o l'eroe, a lei tocca sempre stare a casa ad aspettarlo. Già me la immagino, poverina, a cantare con le lacrime agli occhi "sì, d'accordo ma poi... tutto il resto è noia!" mentre attende il marito che, uscito per comprare le sigarette, sta ritardando un po' perché impegnato a scongiurare l'ennesima guerra termonucleare globale mentre lei è a casa a guardare la De Filippi.

mercoledì 18 gennaio 2012

"Dammi cinque dollari e ti farò felice": le nuove frontiere dell'altruismo

Eh, sì, c'è proprio crisi. Il lavoro non si trova, l'economia è ferma, la crescita è zero... e anche a livello affettivo siamo messi proprio male. Talmente male che una simpatica signorina americana, tale Cathy, ventitreenne biondina e dalla faccia pulita, ha pensato bene di unire l'utile al dilettevole e di proporsi come "fidanzata su facebook" per cinque dollari alla settimana. In pratica, cari maschietti, se siete single e avete bisogno di una fidanzata per varie ragioni (far ingelosire una ex, fare la figura del playboy e così via) la signorina Cathy accetterà, al modico prezzo di cinque dollari, di figurare come la vostra fidanzata su fb per una settimana, e di scrivervi ben tre post in bacheca di cui voi deciderete il testo.
Insomma, la cara Cathy la dà via, per una somma ridicola, la reputazione. Perché i suoi amici, quelli che la vedono un giorno fidanzata con uno e il giorno dopo fidanzata con un altro, che penseranno di lei? Ma lei, noncurante del fatto che potrebbe fare la figura di una ragazza facilotta, ha trovato il modo per racimolare due soldini. Solo che, fatti due conti, guadagnerà circa 20 dollari al mese. Certe signorine "amiche" del nostro ex premier per quella cifra non si girerebbero nemmeno a guardarvi.
Per cui, pensandoci bene, potrebbe essere che la per la tenera Cathy sia una missione: mette a disposizione la sua immagine per aiutare poveri ragazzi bisognosi, e lo fa per una cifra del tutto simbolica, solo perché magari in quel modo essi non hanno la percezione che lo stia facendo per pietà nei loro confronti, e che ci stia mettendo professionalità! Ma che tenera, la Cathy! Che donna! Si disinteressa della propria reputazione per aiutare il prossimo. Il mondo ha bisogno di donne così!

lunedì 16 gennaio 2012

Quando la Natura diventa spietata matrigna

Due giorni fa, proprio qui in Toscana, vicino all'Isola del Giglio, paradiso incontaminato soprattutto per coloro che praticano lo sport subacqueo, una nave della Costa Crociere (la Concordia, ammiraglia della Costa nel Mediterraneo) si è incagliata in uno scoglio e, a causa di uno squarcio di oltre 70 metri sulla chiglia, è naufragata. Il Comandante è riuscito a portarla vicino a riva e lei si è adagiata su un fianco, senza inabissarsi. Attualmente il bilancio è di sei morti e ancora 16 dispersi, che si pensa siano rimasti intrappolati sulla nave.
Appena saputo dell'incidente, inevitabilmente, il pensiero di tutti è andato al Titanic. Un po' perché il film del 1997 è stato un Colossal di enorme successo che ancora tutti ricordano, un po' perché la tragedia, quella vera, avvenuta nel 1912 (esattamente 100 anni fa) ha sempre popolato gli incubi di chiunque decidesse di viaggiare per mare, e un po' perché certe incredibili coincidenze fra i due incidenti creano un'aura di mistero abbastanza inquietante.
Mentre sto scrivendo, impazzano le polemiche: pare che queste enormi navi da crociera, queste mega città galleggianti, siano solite avvicinarsi molto alle coste dei luoghi più belli e suggestivi (la Liguria, l'Isola del Giglio, Venezia) per "rendere omaggio" alla città o addirittura "salutare" qualche amico dell'equipaggio o qualche vecchio collega residenti in questi luoghi. Si dice che il Comandante della Concordia abbia manualmente modificato la rotta proprio per avvicinarsi alla costa e "salutare" un parente del maitre della nave. Si dice anche che, dopo questa mossa azzardata, che di fatto è costata la vita di alcuni passeggeri, il Comandante, contravvenendo ad ogni regola, abbia abbandonato la nave prima che venissero messi in salvo tutti i passeggeri e sia stata la Guardia Costiera ad intimargli di risalire a bordo e coordinare le procedure di salvataggio.
Queste però sono cose di cui si occuperà la magistratura.
Per adesso siamo qui, tutti increduli di fronte a questa tragedia, ad asciugarci le lacrime di fronte alla storia straziante di una bambina di cinque anni e di suo padre che, vedendola scivolare giù per un corridoio sulla nave già completamente inclinata si è lanciato per tentare disperatamente di salvarla, morendo insieme a lei; siamo qui tutti quanti a domandarci come sia possibile che in 100 anni, un secolo intero, con tutte le tecnologie esistenti, l'unica cosa che ha impedito che succedesse una tragedia come quella del Titanic sia solo il fatto che la Concordia non fosse fra i ghiacci dell'oceano Atlantico, ma nel Mediterraneo vicinissima alla costa.
Sembrano surreali le scene di quella nave adagiata su un fianco, perché siamo tutti abituati a considerare questi mostri inaffondabili, capaci di resistere a qualsiasi intemperia. Non possiamo credere che uno scoglio vicino ad una minuscola isola sia riuscito ad abbattere il mostro.
Eppure, dobbiamo prenderne atto: per quanto la tecnologia sia all'avanguardia, per quanto l'uomo sia riuscito a dominare ed a sottomettere la natura al suo volere, essa prima o poi si prende le sue rivincite e non perdona, da "madre" a "matrigna" in pochi istanti. Il vero errore umano è quello di credersi invincibili e superiori ad ogni cosa.

sabato 14 gennaio 2012

I Pub e i granelli di sabbia

Ieri sera ero in un pub e, alla mia richiesta di un dolcificante per il tè, come spesso accade, la risposta è stata "non ce l'abbiamo".
Mi chiedo come sia possibile che, dopo tante giornate mondiali sul diabete, dopo sopt pubblicitari, campagne di sensibilizzazione e chi più ne ha più ne metta, ancora oggi non si trovi una misera bustina di dolcificante in un locale pubblico.
Aprendo il menù, poi, un diabetico aveva ben poca scelta: un tè o un caffè senza dilcificante, appunto e, forse, una piccola birra, che talora è permessa. Per me, che sono astemia, la scelta si è ridotta ancora di più e alla fine mi son ritrovata a bere il mio tè senza zucchero (che a molti piace, per carità, ma vorrei poter scegliere di berlo o no dolcificato).
Spesso mi sono ritrovata a poter prendere solo l'acqua, in alcuni locali. Niente bibite senza zucchero, niente succhi di frutta senza zucchero aggiunto, niente dolcificante. Niente di niente.
Mi domando che cosa costerebbe ai gestori dei locali o dei bar procurarsi anche bevande per i diabetici. Non si chiede di trovare cose di difficile reperibilità o molto costese: una Coca Cola Zero costa esattamente come quella normale. Così come l'aranciata o i succhi di frutta. E si trovano in qualsiasi supermercato o negozio di alimentari, ormai. Perché non pensare anche a chi non può assumere zuccheri? Perché ritrovarsi a dover dire a un bambino che entra in un bar e vuole un succo di frutta "no, scusa, abbiamo solo l'acqua!"? Se è difficile per me accettarlo, che ho 32 anni, figuriamoci per un bimbo piccolo.
Un nuovo spot in tv di sensibilizzazione per il diabete, malattia che, ricordo, ha colpito più di 170 milioni di persone nel mondo, recita "chi ha il diabete, non corre da solo". E invece, purtroppo, bisogna ammettera l'amara verità (amara come il té che ho bevuto ieri sera): le persone con diabete sono irrimediabilmente sole. Come purtroppo moltissimi altri malati di altre patologie.
Non sono sole come potevano essere i malati di aids negli anni '80; non sono sole perché additate come appestati. Sono sole perché il mondo si dimentica di loro, non sono "previste" dal sistema. Vai in un bar e non troverai mai dei dolci senza zucchero. A Pisa c'è una sola gelateria che produce il gelato per diabetici, ma solo perché le proprietarie hanno il padre che soffre di questa malattia. E comuqnue si sta parlando di dover produrre alimenti senza l'aggiunta di zuccheri e magari non tutti sono capaci di farlo. Ma una misera, piccola bustina di dolcificante, santo cielo? Nemmeno quella?? Nemmeno una lattina di Coca Zero? Sapete quanti malati di diabete, nella situazione come quella in cui mi sono ritrovata io ieri sera, avrebbero aggiunto lo zucchero e pazienza? Quanti ragazzini mangeranno il gelato "normale" per non sentirsi diversi dai loro amichetti? Se il mondo non comincia a cambiare anche da queste piccole cose, difficilmente potrà migliorare sulle grandi: se non si riesce a fare nemmeno un piccolo gesto per far stare meglio un bambino diabetico, facendogli trovare un succo di frutta anche per lui, pensate davvero che si possa combattere la guerra e la fame e la miseria che ci sono nel mondo?
Mi viene in mente un bellissimo pezzo tratto dal musical "Aggiungi un posto a tavola":

"...Solo, fra la mia gente
Mi sento solamente, una formica
Una formica è solo una formica
Uno zero una nullità
I granelli di sabbia per lei sono montagne
Ma basta che abbia vicino le compagne
E una formica smuove le montagne
Una formica da sola non esiste
ma resiste solo perché sa
che come tante gocce fanno il mare
tante formiche
possono formare
una comunità
Ma se da sola affronta la fatica
Allora si che è solo una formica.

Ma due formiche sono due formiche
Un’idea di solidarietà
C’è ben poco da fare di fronte alle montagne
Ma se può contare su tutte la compagne
Quella formica smuove la montagne..."


Direi che sarebbe ora che anche quelle piccole formichine che decidono di aprire un esercizio pubblico smuovessero un granello di sabbia nel loro piccolo.

giovedì 12 gennaio 2012

Un anno senza musica

"Signora, dove c'è musica non può esserci nulla di cattivo."
Miguel De Cervantes, "Don Chisciotte"

Stamattina all'improvviso mi sono resa conto che, da almeno un anno, non ascolto più la musica. La sento, ovunque, al supermercato, in tv, in macchina, alla radio, ma non l'ascolto più. Ne usufruisco passivamente quando mi viene imposta, ma non riesco più a mettermi lì e decidere di passare un po' di tempo lasciando che i pensieri scorrano liberi e in modo del tutto casuale, quasi come un flusso di coscienza.
Starete pensando: "Magari sei impegnata e non ne hai il tempo, magari non ne hai semplicemente voglia, magari ultimamanete non trovi nulla da ascoltare che ti piaccia".
La cosa invece è preoccupante: finora non era mai accaduto nulla nella mia vita di così grave da spingermi a smettere di sognare. Perché, quando ascoltiamo la musica, tutti più o meno ci lasciamo andare al sogno. C'è chi immagina l'amore, chi una vita diversa, chi di diventare bravo come il cantante o il musicista che sta eseguendo il brano, chi addirittura si fa dei film mentali con tanto di sceneggiature... Io non riesco più a fare nulla di tutto ciò. Se mi metto ad ascoltare un brano che mi piace e che magari ho ascoltato milioni di volte, i miei pensieri, quelli coscienti, quelli pesanti e angosciosi, non stanno zitti un secondo. Urlano tanto che mi impediscono l'ascolto e io mi trovo costretta a tornare alla realtà, perché a quel punto la musica non è più colonna sonora dei bei sogni ad occhi aperti, ma un fastidioso rumore che interferisce coi mille pensieri che ho.
Se smetti di ascoltare musica, smetti di sognare. E se smetti di sognare, smetti di sperare, di giocare e di cercare. "Cercare cosa?", vi chiederete. Cercare la risposta (che forse è un po' come "L'isola che non c'è": è una risposta che la trovi solo se ci credi) a quella domanda che tanto va di moda negli ultimi anni: ma qual è il tuo senso della vita?

mercoledì 11 gennaio 2012

Point break

Quando qualcuno dice di volerti bene, deve anche dimostrarlo. Bastassero le parole, a questo mondo, saremmo tutti felici e vivremmo in pace. Purtroppo si sa, invece, che le parole se le porta via il vento e sono i fatti quelli che contano. E quando i fatti non dimostrano altro che menefreghismo e opportunismo, bisogna arrendersi all'evidenza: ci sono persone che, anche se le ricopri di attenzioni e affetto, non sanno ripagarti con la stessa moneta. È pur vero che ognuno, alla fine, dà quel che può e non tutti sanno voler bene allo stesso modo. Ma quando ti ritrovi, sempre, a sbattere il muso nel menefreghismo e nell'indifferenza di chi va avanti per la sua strada fregandosene del male che ti sta facendo, bè... quello diventa un dolore insopportabile. Soprattutto perché tu continui a riporre la tua fiducia in persone che, puntualmente, ti deludono; tu parli con loro, cerchi di spiegare la tue ragioni e ciò che ti trovi davanti è un muro che ti rispedisce sempre tutto indietro. Il fatto è che tu continui a credere in loro perché l'idea che siano proprio senza cuore e senza coscienza ti appare talmente incredibile da essere quasi fantascientifica: ho veramente passato degli anni ad ascoltare parole dette tanto per dire? Ho veramente fatto dei sacrifici credendo a delle bugìe? Ho veramente cambiato il corso della mia vita per ritrovarmi poi con un pugno di mosche?
L'incredulità a volte è la tua peggior nemica. Ciò che il tuo cervello si rifiuta di accettare è ciò che ti salverebbe. E ti ritrovi come divisa in due: da una parte la tua metà razionale, che di fronte a delle prove schiaccianti non fa altro che urlarti di scappare. E dall'altra c'è quella metà che vive in un non ben precisato punto del corpo che tutti chiamano "cuore", che continua a farti sperare e a dirti "non è possibile, non mi sono sbagliata! Non posso voler bene a qualcuno che sa di farmi male, se ne frega di farmi male, sceglie di farmi male".
Tutti poi ti dicono: prima o poi te ne renderai conto davvero! Prima o poi raggiungerai il punto di rottura e aprirai gli occhi.
Mi ritrovo spesso a pensare che questo punto di rottura sia mobile: si sposta sempre un po' più in là e non lo raggiungi mai.

lunedì 9 gennaio 2012

Ancora a proposito di cani...

Negli ultimi giorni, complice il fatto che un amico sta pensando di adottare un cane nordico, ho sentito spesso discorsi confusionari di gente che, pur non sapendone nulla, parla come se fosse la massima esperta nel settore, con toni perentori di chi ha una lunga esperienza in materia. Voglio quindi fare un po' di ordine. E voglio presentarvi Mei Li. Come dicevo l'altro giorno, Mei Li è una cagnetta di razza Chow Chow che vive con noi da quasi sei anni.
Il nome, per chi se lo chiedesse, è cinese e significa "bellezza". Come tutti saprete, il Chow Chow è una razza cinese proveniente da un'evoluzione durata migliaia di anni; probabilemnte i suoi antenati furono portati in Cina dagli invasori barbari del XI secolo a.C. ed usati come cani da guardia, da caccia e da slitta. Il Chow appartiene alla famiglia degli Spitz, quinto gruppo della classificazione ufficiale FCI delle razze canine, insieme ai cani di "tipo primitivo". Il che vuol dire che sono considerati i più antichi e i più puri fra le razze canine. Appartengono alla stessa famiglia tutti i cani nordici come l'Alaskan Malamute e il Siberian Husky, ma anche il Volpino italiano e il Volpino di Pomerania (avete presente Boo, il famoso cagnolino che ha quasi tre milioni di amici su Facebook?), l'Akita Inu (giapponese, che tutti ora conoscono dopo il film con Richard Gere "Hachiko") e il Samoiedo, per citare le razze più conosciute. Ebbene, sembrerebbe che il Cane Palustris, avo di tutti i cani nordici appartenenti alla famiglia degli Spitz, sia anche avo del Chow Chow. E coi cani nordici il Chow ha in comune non solo le caratteristiche di base che accumuna tutti gli spitz (orecchie a punta, muso triangolare e coda arricciata sulla schiena), ma anche il carattere di fondo, la forza (era usato anche per il traino, infatti) e la resistenza a temperature rigidissime.
Fin qui, i cenni storici e "tecnici" per fare un po' di ordine. Ora cominciamo a smontare le stupidate che si sentono dire in giro su queste razze.
La prima e più comune è che questi cani non si adattino alle nostre temperature, essendo abituati a tempertaure molto più rigide. "Poverini, soffrono così tanto il caldo!". Ebbene, mettiamo in chiaro una cosa: i cani si adattano, sempre. Provate a guardare la foto di uno di questi cani che vive in paesi dove le temperature sono rigidissime e confrontatela con una foto di uno che vive in Italia: la prima cosa che noterete è la differenza nel pelo. Quelli che vivono sulla neve sviluppano una peluria molto più folta e lunga, quelli che vivono qua no. Di fatto, a volte dobbiamo costringere la mia Mei Li a stare fuori, in inverno, perché ha freddo e starebbe sempre in casa, al calduccio sul cuscino. Il suo pelo, infatti, adattandosi alle temperature miti, non diventa mai troppo folto e lungo e lei, appena c'è un raggio di sole, si mette a pancia in su, crogiolandosi. In estate non esce nelle ore più calde (ma non credo che terreste al sole di mezzogiorno il vostro cane, in estate, qualunque sia la sua razza) e cerca angolini freschi, ma non mostra mai sofferenza ed è sempre contenta di fare la sua passeggiata. Quando torna, poi, beve tanto con quella sua linguona blu (tipica caratteristica di questa razza) e dopo 10 minuti sarebbe pronta a ripartire.
La seconda cosa che si sente dire su questi cani riguarda il carattere: sono intrattabili, sono testardi, sono cattivi, sono stupidi. E qui si potrebbe scrivere un piccolo trattatello. Sintetizzando, il carattere di queste razze è molto particolare ed è adatto a padroni che sappiano tenergli testa. Sono cani riservati, dignitosi, poco inclini alle smancerie, se li chiamate non è detto che si alzino per correre da voi (e comunque, anche se si alzano, vi verranno incontro con molto calma e prendendosi tutto il tempo necessario, facendovi notare che lo fanno solo per ubbidienza). Hanno una loro opinione e, se non ritengono giusto l'ordine del padrone, sono capaci di scalvarcarlo nelle decisioni e discuterne l'autorità. Il Chow poi è il più ostico: lui di padrone ne ha uno solo e avanza, tutti gli altri membri della famiglia sono gentilmente pregati di non rompergli le scatole più di tanto e hanno il permesso di accarezzarlo e dargli da mangiare, a patto che poi si facciano i cavoli loro. Ovviamente, chi vuole un cane che stia in braccio dalla mattina alla sera e che sia espansivo e passionale, non deve pensare di prendersi un cane nordico o un Chow. Questo tipo di cane è adatto a padroni dalla forte personalità, che sappiano coccolarlo ma non viziarlo, che sappiano educarlo e tenere testa alle sfide continue che il cane propone loro. In quel modo, fra padrone e cane si instaura un legame talmente forte che assomiglia quasi alla simbiosi. Nel mio caso, è stato mio padre che ha instaurato quel tipo di rapporto con Mei Li. E adesso lei, se lui le ordinasse di gettarsi nel fuoco, lo farebbe. Quel che si sente dire spesso è che questi cani sono "odiosi e testardi", mentre in realtà sono solo intelligenti e dignitosi, capaci di avere opinioni proprie, e anche se  stanno in disparte a sonnechiare sono sempre vigili e attenti e pronti ad alzare la testa appena sentono che si parla di loro.
Potrei continuare all'infinito a parlare di questi cani strordinari, ma l'unica cosa che mi sento di dire è che, dopo aver avuto a che fare con questo tipo di cani, non si può pensare di aver a che fare con altre razze. Proprio perché hanno un carattere così particolare, e proprio perché si deve faticare un po' per arrivare ad ottenere il massimo, questi cagnoloni bellissimi sono anche quelli che danno le soddisfazioni più grosse. Come sempre, tutte le cose raggiunte con impegno e fatica, ripagano più delle altre.

                                                       Mei Li, 6 anni

Crème de la crème

Feste finite.
Ricomincia il solito tran tran: anno nuovo, vecchia vita (che triste chiasmo!).
Ma noi ragazze fashion possiamo consolarci, perché tra poco uscirà la collezione primavera estate e posso già darvi qualche anticipazione: i colori che domineranno saranno il verde (evvivaaa!) e il rosa (doppio evvivaaa!). Come a dire la speranza e la tenerezza. Non vi sentite già meglio?
Il 2012 sarà anche l'anno delle creme BB. Brigitte Bardot? No. Purtroppo la crema per farci diventare come lei (da giovane) non l'hanno ancora inventata. BB come Blemish Balm. Ovvero dei fondotinta con la crema idratante dentro. Che roba geniale, vero? Peccato che io, già dal 1993, mischi la mia crema idratante col fondotinta. Mi sa che non si sono accorti che le donne sono molto più avanti di loro (che poi chi saranno questi "loro"?) E alle donne dovrebbero chiedere di cosa hanno effettivamente bisogno.
Per esempio, servirebbe un pennellino per lo smalto che arrivi a raccogliere anche quello che rimane in fondo. Perché non ha senso comprare uno smalto, anche costoso, e doverne buttare via la metà.
Un'altra cosa che servirebbe è un mascara che allunghi davvero le ciglia in due passate e che le renda davvero simili alle ciglia finte. Perché il tempo passa e vengono lanciati sul mercato mascara sempre più nuovi e costosi, ma che non hanno nulla di diverso da quelli di 30 anni fa. Guardo le foto di mia madre sedicenne (correva dunque l'anno 1976) e vedo che le ciglia son sempre lunghe nella stessa maniera.
Servirebbe anche un profumo che rimanga inalterato per tutto il giorno! Ci son quelli che dopo due ore non si sentono più e quelli che dopo qualche ora cominciano a puzzare e non li levi più dai vestiti, nemmeno se li lavi con la nitroglicerina.
Cos'altro, vediamo... Ah, sì! Le autoreggenti che si autoreggano davvero e non si arrotolino o cadano perché non hanno presa. Una crema anticellulite che distrugga davvero la cellulite e una crema rimodellante viso che rimodelli davvero il viso. Anzi, ne basterebbe una. Nel viso, con l'età che avanza, il grasso giovanile tende a scomparire e non si riforma più, per formarsi però in tutto il resto del corpo, soprattutto su cosce, pancia e glutei. Senza soffermarmi sull'ingiustizia e sulla cattiveria della Natura, dico che basterebbe inventare una crema che trasporti il grasso che serve sul viso e che elimini quello in eccesso. Una sola. Facile no? Invece di avere migliaia di creme (per il contorno occhi, per idratare, per riempire le rughe, per rimodellare e scolpire il viso, per scolpire il corpo, per rassodare, per alzare il culo, per snellire le cosce, per ravvivare il colorito, per nascondere le macchie, per tonificare il seno), ne basterebbe una sola "all inclusive". Se son riusciti a pensare al fondotinta che idrata, potranno pure inventare questa, no?

sabato 7 gennaio 2012

Se il cane è di razza, l'uomo è razzista

Ultimamente mi capita di sentire spesso, sia in tv che dalla gente che incontro ogni giorno, che, se proprio vuoi un cane, devi andare a prenderlo in un canile, perché "Oh mio Dio! Non vorrai fare come quei CATTIVI che se lo vanno a comprare perché vogliono il cane di razza (di solito "cane di razza" detto con un certo disgusto) solo per esibirlo! La gente che vuole bene ai cani li va prendere nei canili".
Ok, di stupidaggini se ne sentono tante, e quindi non dovrei stupirmi sentendone una in più. Ma siccome con questa mi sento colpita più da vicino, essendo padrona di un "cane di razza", adesso voglio dire la mia.
Nella mia vita, ho avuto tre cani e sono stati tutti di razza. Il primo si chiamava Chico ed era un cockerone che il padrone aveva comprato e poi, dopo due anni, rendendosi conto che non poteva tenerlo, voleva abbandonarlo, o portarlo in un canile o chissà dove. Lo prese mio padre. E di fatto lo salvò da un'esistenza terribile.
Il secondo, o per meglio dire la seconda, visto che era una femmina, si chiamava Lilli ed era un chow chow a pelo corto completamente fuori standard (per chi non sapesse che significa, con "fuori standard" si intende un cane che non presenti le caratteristiche specifiche di quella razza: lunghezza del muso, posizione delle orecchie, lunghezza e postura della coda e via discorrendo). Era fuori standard perché era il risultato di un esperimento condotto dall'allevamento. La cucciolata era stata venduta quasi per intero, ad eccezione di quella cagnetta che nessuno aveva voluto perché mostrava già da cucciola un carattere troppo dominante. Sarebbe stata soppressa. La prendemmo noi e ha vissuto per 14 anni, nonostante non avesse una salute di ferro. Ed in effetti sì, aveva un carattere dominante e un'intelligenza fuori dal comune e l'abbiamo adorata per questo.
Il terzo cane, di nuovo un chow chow, l'abbiamo comprato. Reduci da colei che l'aveva preceduta, ci siamo resi conto, in famiglia, che il chow chow era il cane che faceva per noi, e ne abbiamo voluto un altro. E quindi è arrivata Mei Li (razza cinese, nome cinese). È la nostra bambina. Anche lei presenta dei "difetti" (macchioline rosa sulla lingua blu, e un difetto nel morso, tanto che fa fatica a masticare) che la rendevano assolutamente non adatta ad essere considerata "pura". E quindi, uno scarto: sarebbe finita nel circuito delle fiere (avete presente quei poveri cuccioli nelle gabbie... vi siete mai chiesti che fine fanno se non vengono venduti?). Ecco, tutti cani di razza. E non per questo più fortunati di quei poverini che finiscono nei canili.
Spesso si pensa che, pagandolo, il padrone voglia un cane "bello" solo per sfoggiarlo. Si pensa che, dovendolo anche pagare caro, lo terrà bene comunque e che il cane di razza sia, per nascita, più fortunato.
In realtà, di razza o meno, un cane è un cane. E di padroni sbagliati, ce ne sono tanti. Qualche anno fa un mio vicino di casa ha comprato un dobermann, dolcissimo oltretutto, per tenerlo chiuso in un box e farlo quasi morire di fame: lo abbiamo denunciato e il cane, per un po', lo abbiamo tenuto noi, finché alcuni parenti del vecchio padrone non sono venuti a prenderlo. Mi domando spesso che fine abbia fatto.
Attualmente, un altro mio vicino ha comprato un bassotto, carinissimo e adorabile. E lo picchia tutti i giorni.
In realtà è tutto un altro mondo quello dei cani presi per essere "sfoggiati", per essere portati ai concorsi, per essere tenuti come "campioni" da far riprodurre. È tutto un altro mondo e sono tutti altri prezzi; tanto per farvi un esempio: se la mia è stata pagata qualche centinaio di euro, se avessi voluto un cane da mostra lo avrei pagato qualche migliaia di euro.
Comprato o preso in un canile, un cane va amato e rispettato comunque e non ci deve essere questa sorta di "razzismo al contrario". Chi lo compra fa una scelta dettata, in parte, anche dall'aspetto, ma più che altro dal carattere. Perché magari vuole QUEL cane e non UN cane e non per questo è una persona meno sensibile o più superficiale.
Superficiale, casomai, è il giudizio di chi crede di dover sparare sentenze sempre e comunque, senza sapere come stanno le cose, nascondendosi dietro un finto buonismo da talk-show.

giovedì 5 gennaio 2012

Tutta la verità, solo la verità, nient'altro che la verità!

Qualche giorno fa mi son sentita dire "...bè, visto che tu vuoi sempre che la gente sia sincera con te, allora lo sarò", con un tono quasi meravigliato dal fatto che io pretendessi la sincerità dalle persone che mi stanno accanto.
Il vecchio detto sostiene che ad essere beata sia l'ignoranza. Che devo dirvi? Non sono affatto d'accordo. L'ignoranza anestetizza, rende passivi, rende inconsapevolemente succubi. E queste tre condizioni sono tutto, fuorché "beate".
Il non sapere una cosa non vuol dire affatto che quella cosa non ci sia o non accada. E se quella cosa che tu ignori è dannosa per te, lo è in ogni caso, sia che tu la sappia, sia che tu non la conosca. L'unica vera differenza tra le due condizioni è che non stai male (ammesso che esista davvero al mondo qualcuno che non è mai sfiorato dal tarlo del dubbio). Ma non stai neanche bene, è questo il bello! Perché ignorando la verità, non hai il diritto di scegliere se accettarla o rifiutarla, non puoi lottare, non puoi ribellarti, non puoi difenderti, non puoi scappare. Rimani lì, in balia di chi sceglie di dirti una pietosa bugià, e così vai avanti, senza magari dare una risposta a quelle domande che ti attanagliano. Perché inutile negarlo: quando ti viene nascosta una cosa, se guardi bene, delle avvisaglie che qualcosa non va ci sono sempre. Ecco, di fronte a quelle avvisaglie io scelgo e anzi pretendo di poter aprire gli occhi e guardare diritto in faccia il problema. Se esiste un vero atto d'amore verso se stessi è proprio questo: avere il coraggio di soffrire, anche tantissimo, ma con la ferma consapevolezza che solo in questo modo si può migliorare la propria condizione, si può essere liberi di scegliere e si può recuperare la dignità che ti viene tolta nel momento in cui qualcuno sceglie di dirti una bugia, pensando di farlo "a fin di bene". Ma a fin di bene, ricordatelo sempre, c'è solo la sincerità.

mercoledì 4 gennaio 2012

Cosa vuoi di più dalla vita? Uno spot decente!

Mi domando che fine abbiano fatto i pubblicitari di una volta (e quando dico una volta, intendo gli anni '80, ovvero gli anni del boom dello spot e dello slogan, dopo il Carosello degli anni '60 e il passaggio abbastanza anonimo degli anni '70).
Se avete più di 30 anni, sapete bene che non può essere Natale se non cantate "in magica armonia", siete ancora convinti che a una fruit joy "resitere non puoi, devi masticar!", se avete "voglia di qualcosa di buono" cercate in giro Ambrogio, tentate tutt'ora di spezzare il tonno con un grissino, di mangiare un cucciolone in dieci morsi, e sapete che una cosa figa "piace alla gente che piace".
Chi di voi non ricorda il famoso spot della Barilla con la bambina sotto la pioggia che raccoglie il gattino tutto bagnato e impaurito per strada? Il tutto condito dallo struggente "Dove c'è Barilla, c'è casa". Scommetto che vi è scesa una lacrimuccia.
Ecco, non esistono più quelle pubblicità. Son diventate monotone, banali o cervellotiche. Ma belle proprio no. E gli slogan hanno perso la loro forza comunicativa. C'è un bellissimo sito, che si chiama "Sitomemoria, il sito dei nostri ricordi" (http://sitomemoria.altervista.org/index.htm) in cui, alla sezione pubblicità, potete notare come appunto son cambiati gli slogan nel tempo. E noterete che quelli degli anni '80 rimangono sempre i migliori.
Per esempio, la Mulino Bianco è passata da un bucolico "Torna alla natura con Mulino Bianco" ad un freddo "Mangia sano e vivi meglio"; il Pennello Cinghiale, che aveva toccato l'apice della genialità con "non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello", fa quasi impallidire con "Cinghiale, la grande marca"; il simpatico e travolgente "...e allora dai dai dai! Stappa un Crodino!!", diventa il banalissimo "L'analcolico biondo che fa impazzire il mondo"; il detersivo Dash, che usava l'efficace "Più bianco non si può!", delude con "Dash non si cambia!". Una delle migliori era senza dubbio "L'uomo Del Monte ha detto sì", un vero e proprio tormentone, e che adesso è diventato un ben meno incisivo "Sì al meglio, sì al Del Monte". E poi, l'orrore: lo slogan "Alle morbide fruit joy tu resistere non puoi, devi masticar" è sparito per far posto all'odiosa ragazzina che apostrofa il suo amico equino con "Cavallo goloso!" (divetato poi un delfino e apostrofato con "Delfino curioso!"... come cadere dalla padella nella brace.)
C'è poi tutta una serie di spot e di slogan che hanno fatto incavolare e non poco il pubblico. Come non ricordare quello della L'Oreal, in cui bellissime donne famose si rivolgevano al pubblico femminile sottolineando il fatto che usavano quel prodotto "perché loro valgono!". Spot a cui i pubblicitari hanno cercato di mettere una pezza cambiandolo in "usa L'Oreal perché TU vali!". Ma ormai il danno era fatto e la scelta è ricaduta su un generico "Perché noi valiamo!". Insomma, hanno coniugato tutto il presente indicativo del verbo "valere".
Recentemente ho visto uno spot che pubblicizza un prodotto per il mal di gola il cui slogan recita "Diretto proprio là dove senti il muco!". Orripilante. E poi mi piacerebbe sapere se davvero 'sti pubblicitari pensano che le donne stiano tutto il giorno a raccontarsi se hanno avuto problemi o no con il loro organo riproduttivo: "Scusa, sono arrivata tardi perché mi prudeva!" "Ho un fastidioso bruciore intimo!" "Sono davvero irritata sotto!" e così via.
Stendiamo un velo pietoso sulle pubblicità dei deodoranti: "Abbiamo fatto la prova chiedendo alle donne di indossare il maglioncino al contario, per vedere se ci sono tracce di sudore!". Ormai il pubblico è assuefatto, ma se ci pensate bene, la tv viene vista spesso durante il pranzo o la cena. Mi domando come facciamo a sopportare le immagini, che ci vengono continuamente proposte, di muco, pruriti vaginali e sudore, paste per tenere ferme le dentiere, dentifrici che non fanno sanguinare le gengive (un tempo c'era lo spot della ragazza che mangiava la mela tutta sorridente, adesso ti fanno vedere direttamente lo sputacchio macchiato di sangue) e così via senza perdere l'appetito.
Sarà che il mondo fa un po' più schifo e lo si vede anche dalla pubblicità?

martedì 3 gennaio 2012

Una pisana folgorata da un livornese

Oggi l'umore va un po' meglio. Ciò non vuol comunque dire che va bene. Ma dato che sono in lenta risalita, oggi non voglio scrivere nulla che sia lamentoso o triste. Il rischio di scadere nel patetico è sempre dietro l'angolo, si sa. E non c'è nulla di più patetico di una donna patetica che si rende conto di esserlo e non fa niente per evitarlo.
Orbene. Dato che, come ho già detto in passato, quando sono in questo stato mi rinchiudo in camera a leggere, oggi voglio condividere con voi le mie letture. Un bel post noiosetto e snobbino è quel che ci vuole per anestetizzarsi un po'.
Recentemente ho "scoperto" Giorgio Caproni,  poeta contemporaneo. Livornese di nascita, ma genovese d'adozione, interrotti gli studi musicali si dedicò alla letteratura. Fece la guerra, nel 1939, combattendo sul fronte occidentale, e restò poi coi partigiani in Val Trebbia fino alla liberazione.
Negli anni '80 fu critico del "Punto", della "Nazione", della "Fiera letteraria" e traduttore. Morì nel 1990.
Fin qui, i dati anagrafici. Ovviamente nei licei non viene studiato, purtroppo (o almeno finché ho frequentato il liceo io, non se ne faceva parola). 
Da quando l'ho scoperto, mi ha folgorata.
Spesso ho notato che anche nella poesia esiste la moda. E negli ultimi 20 anni i poeti che vanno "di moda" sono Neruda, Shakespeare, Hikmet, solo per citarne alcuni. Il che è anche un bene, perché la poesia è sicuramente il genere letterario meno seguito. Ma seguendo le mode, si rischia spesso di perdere di vista coloro che meriterebbero un'attenzione particolare.
Caproni, a mio avviso, è uno di questi.
Le sue poesie sono come sassi che vi colpiscono in pieno. Per il cinismo, per la genialità, anche per la cattiveria, quella sana, quella che tende a dissacrare:

"Se ne dicono tante.
Si dice, anche,
che la morte è un trapasso.

(Certo: dal sangue, al sasso)."
(Cianfrogna)

Sapeva essere provocatore:

"Si siede solo al suo tavolo.
Si chiede con malinconia
se altra iattura ci sia
peggiore della morte del Diavolo.

Il Male, senza più fantasia."
(Iattura)

Sapeva affrontare con ironia anche i temi più delicati, come la religione:

"Dio non c'è,
ma non si vede.
Non è una battuta: è
una professione di fede"
(Professio)

E con la stessa ironia prendeva in giro se stesso e il suo essere poeta, diceva che fra le tante iatture che aveva avuto nella sua vita la peggiore era di esser nato nella terra di Dante. E lo stesso Shakespeare viene un po' preso in giro, o forse sarebbe meglio dire, di nuovo, dissacrato:

"Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa"
(Concessione)

Non mancano la malinconia e la tristezza, per la perdita delle persone care, per la consapevolezza della solitudine; ma è una tristezza mai esasperata, quasi rassegnata. A tratti pervasa di cinismo:

"No non mi sono fatta
troppa compagnia.
Anche se ho già detto spesso,
e volentieri ridico,
d'aver trovato in me stesso
il solo mio vero amico."

E la morte, che ricorre spesso come tema, è affrontata quasi sempre con la solita verve ironica da toscanaccio:

"Non temo la morte,

Ho infatti una fortuna, più grossa
di quella di chi ha vinto un terno.

Non soffro d'insonnia.

                               Quindi
potrò più che tranquillamente
dormire il mio sonno eterno."
(Fortuna)

Non voglio certo riportare qui l'intera opera poetica di Giorgio Caproni. Vi saluto con un'ultima, struggente, poesia, sperando di aver incuriosito coloro che non lo conoscevano. Diceva di lui l'amico Pier Paolo Pasolini "... com'è libero questo poeta da moralismi, da tesi: in questo senso uno degli uomini più liberi del nostro tempo letterario".

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
 
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia. 
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare. 
 
(Scusate. E’ una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).
 
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
 
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
 
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
 
Scendo. Buon proseguimento.

Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso

lunedì 2 gennaio 2012

Umore in caduta libera

Questo 2012 non inizia proprio nel modo sperato, ma in fondo, che sia l'inizio o la fine, è solo un giorno come un altro a cui diamo aribitrariamente un'importanza diversa.
Questo è tempo di bilanci. Anch'io ho provato a fare il mio, e purtroppo, sarà la negatività imperante, sarà la crisi, sarà che l'umore in questi giorni è davvero ai minimi storici, ma 'sto bilancio è tutt'altro che positivo.
Un famoso proverbio recita "Chi semina vento, raccoglie tempesta". Bè, io di vento non ne ho mai seminato, ho dato sempre e solo il massimo, mi sono impegnata tanto, trascurando me stessa e facendomi anche del male, a volte. Eppure ho raccolto lo stesso tempesta. Anzi, un uragano.
Ho sorriso anche quando stavo male e la cosa non è stata apprezzata, o comunque non più di tanto. Ho parlato, come si suol dire, a cuore aperto, e sono sempre stata fraintesa. Ho ascoltato e creduto alle bugie di chi diceva di volermi bene e l'ho fatto forse per ingenuità, forse per stupidità, anche se a me piace chiamarlo "affetto sincero". Ho voluto bene in modo sincero e leale a coloro che si sono guadagnati in modo sleale questo sentimento da parte mia. Ho idealizzato chi non conosceva ideali. Ho pianto per chi in quel momento stava ridendo, fregandosene, di me.
Ho cercato di seminare solo cose buone. Ho provato ad offrire solo qualche angolino di cielo sereno, con un po' di sole, e magari ogni tanto un arcobaleno e qualche nuvoletta qua e là. Ma le mie fatiche non son state ripagate. Quel che ho offerto è stato spesso rifiutato, anche in modo sgarbato e cattivo. Ho raccolto litigi e pianti, illusioni, bugie, accuse. E nei periodi peggiori, perfino indifferenza.
Una mia cara amica, che non sta passando un periodo felicissimo, ha scritto "Prima o poi starò meglio, lo spero tanto". Mi trovo ad invidiarla, perché ancora spera. Cosa succede quando anche la speranza comincia a vacillare?
Come sempre mi rifugio nella poesia.
Ce n'è una di Montale che è un invito ad abbandonare i pensieri inutili, quelli che fanno male, quelle "ombre" che pesano sulla testa, ingannevoli, come ingannevoli sono certi sentimenti e certe persone, e ad abbandonarsi a ciò che si vede con gli occhi e, anche senza occhi, si intuisce. Forse ancora non ho smesso di sperare, se riesco ad autoconsolarmi così.

A questo punto smetti
dice l'ombra.
T'ho accompagnato in guerra e in pace e anche
nell'intermedio,
sono stata per te l'esaltazione e il tedio,
t'ho insufflato virtù che non possiedi
vizi che non avevi. Se ora mi stacco
da te non avrai pena, sarai lieve
più delle foglie, mobile come il vento.
Devo alzare la maschera, io sono il tuo pensiero,
sono il tuo in-necessario, l'inutile tua scorza.
A questo punto smetti, strappati dal mio fiato
e cammina nel cielo come un razzo.
C'è ancora qualche lume all'orizzonte
e chi lo vede non è un pazzo, è solo
un uomo e tu intendevi di non esserlo
per amore di un'ombra. Ti ho ingannato
ma ora ti dico a questo punto smetti.
Il tuo peggio e il tuo meglio non t'appartengono
e per quello che avrai puoi fare a meno
di un'ombra. A questo punto
guarda con i tuoi occhi e anche senz'occhi.

Eugenio Montale, "A questo punto" Diario del '71 e del '72