lunedì 26 marzo 2012

I libri che ti cambiano la vita: "Molto forte, incredibilmente vicino"

"A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno..."
J.S. Foer, "Molto forte, incredibilmente vicino"

Oskar ha nove anni e vive a New York. È intelligente e curioso, se qualcuno gli domanda "vuoi sapere il perché di una cosa?" risponde "io voglio sapere tutto". Gli frullano milioni di pensieri in testa, milioni di idee stravaganti e di invenzioni, come ad esempio un congegno che ognuno di noi deve portare con sé, che contenga la lista di tutte le persone a cui vogliamo bene, che si possa collegare ai congegni degli altri, in modo che se per caso siamo in ambulanza in fin di vita e il nostro congegno riconosce quello di una persona a cui vogliamo bene, l'ambulanza possa far apparire su un display "Addio, ti  voglio bene, addio, ti voglio bene". Oskar adora il suo papà, che gli ha insegnato tante cose e gli ha raccontato tante storie, ed è per questo che non si rassegna ad averlo perso durante l'attacco dell'undici settembre 2001 alle Torri Gemelle. Quel giorno Oskar tornò a casa e trovò i messaggi del suo papà sulla segreteria telefonica: cinque in tutto. La prima cosa che fece, mentre la prima torre stava crollando, fu quella di uscire di corsa per comprare un telefono identico a quello che avevano in casa e di registrare un identico messaggio in segreteria, in modo da poter nascondere quello vecchio che conteneva i messaggi del papà per non far soffrire la sua mamma. Ma ogni tanto, di notte, quando non riesce a prendere sonno e il cinismo nel quale si è rifugiato cede il passo alla sofferenza, Oskar tira fuori quel telefono dall'armadio e ascolta ancora e ancora quella voce perduta per sempre.
Da quel giorno Oskar si preoccupa per tutto: della nonna paterna che vive nel palazzo di fronte al suo, della mamma, della quale è geloso perché lei sembra volersi rifare una vita; non crede in Dio, Oskar, è ateo, come gli hanno sempre insegnato da bambino, è razionale e adora trovare le soluzioni ai rompicapi. Per questo motivo, quando un giorno, per caso, trova una chiave misteriosa nello studio del suo papà e una parola "Black" sulla busta che la contiene, Oskar decide di trovare una soluzione a quel mistero: chi o cosa è "Black" e cosa apre quella chiave? Ed è così che, andando in cerca della verità, Oskar si sentirà sempre più vicino a quel genitore tanto amato e perduto così precocemente e scoprirà un passato lontano che ha sconvolto le vite dei suoi nonni paterni.

"Molto forte, incredibilmente vicino" di J.S. Foer mi ha lasciata senza fiato. Da tempo non leggevo un romanzo così ben scritto, così sorprendente, così bello.
Vorrei qui Oskar, vorrei poterlo abbracciare e vorrei poter credere che la maggior parte dei bambini sia come lui. Vorrei che mio figlio, se e quando ne avrò uno, sia come lui. Leggete questo libro (fra poco uscirà anche il film con Sandra Bullock e Tom Hanks), perché è uno di QUEI libri: uno di quelli che ti cambiano la vita.

sabato 24 marzo 2012

(Alcune) cose da confessare prima di morire

Quando avevo 12 anni, arrivò una bolletta del telefono da 300.000 lire... è stata colpa mia e non, come crede mio padre, perché ci avevano clonato il telefono cordless: chiamavo un 144 per sapere l'oroscopo di coppia del giorno, in modo che fossi aggiornata sempre su come sarebbe andata la "storia" con Vittorio-occhiverdi. In terza media sono stata io a dire alla segretaria di cestinare la domanda per il Liceo Pedagogico, a favore di quella per il Liceo Artistico: ecco perché poi il primo giorno di Liceo la mia domanda non risultava tra quelle spedite, non era colpa delle poste italiane o delle segretarie.
A 9 anni non ho mai dato, al prete che venne a benedire la casa, la busta con 25.000 mila lire: la mia Barbie aveva bisogno di vestiti nuovi...
Quando sono partita per la Grecia con Giada, a 19 anni, ho telefonato a casa dicendo che ero arrivata e stavo benissimo: in realtà non ero ancora partita da Roma, causa ritardo dell'aereo, ma per non far preoccupare troppo i miei genitori, e per togliermi di mezzo l'incombenza del "telefona SUBITO appena arrivi!!!", li ho rassicurati pensando "bé, se per caso cade l'aereo non sarò così sfigata da salvarmi ed affrontare l'ira funesta di mio padre per la bugia!"
In quarta Liceo avevo tre in pagella a storia: l'ho modificato in otto con una penna cancellabile (e non era scritto in numeri, ma in lettere...ci sono riuscita lo stesso.) Sono stata io a bruciare il fondo a microonde cuocendo troppo i popcorn... non un sbalzo di corrente.
A 14 anni non andavo mai davvero la domenica mattina alla Messa: c'era un ragazzino, il vero amore della mia vita, che mi aspettava sempre e andavo a passeggiare con lui... com'è che si chiamava?
A 13 anni ho cominciato a truccarmi: mi era permesso un filo di lucidalabbra e un po' di mascara. Uscita di casa aggiungevo ombretto, matita, eyeliner, fard, matita per labbra e rossettino (ma il rossetto leggero, per non esagerare...).

Ok, queste sono le cose che posso confessare...
Tutte la altre...facciamo che ve le dico in un orecchio?

giovedì 22 marzo 2012

Oggi, un anno fa

Un anno fa era una giornata esattamente come questa: c'era il sole ed era caldo. Un anno fa, esattamente come oggi, veniva voglia di andare al mare. Ma un anno fa, a differenza di oggi, al mare ci sono andata davvero ed ero felice. Incoscientemente non ascoltavo quella vocina che mi presagiva tutta la sofferenza che sarebbe venuta dopo. Mi godevo il cielo azzurro, mi godevo la spensieratezza e l'illusione di una serenità che sapevo non sarebbe durata. Ma non potevo fare altro che vivere tutto al massimo, ogni giorno come se quel giorno non avesse un seguito, come se non avesse un futuro.
Ma non si può vivere per sempre in un perenne limbo, sospesa tra cielo e terra in attesa che accada qualcosa. Prima ne hai il terrore: paura che succeda qualcosa di brutto che rompa quell'equilibrio precario e quella parvenza di felicità.
Poi cominci a sperarlo: qualsiasi cosa pur di uscire dall'incubo! Perché quando si è in bilico, quando si ha la consapevolezza che una bella giornata potrebbe non avere un seguito, anche i momenti belli vengono macchiati da quell'instabilità emotiva, da quella paura che tutto finisca da un momento all'altro. Alla fine ti ritrovi a cercare di provocarla quella cosa che ti liberi, in un modo o nell'altro: meglio uno strappo deciso che una lenta agonia.
Leopardi sostiene che le ricorrenze, gli anniversari, certe date che non si dimenticano, sono solo dei giorni come tutti gli altri a cui noi, arbitrariamente, diamo un'importanza diversa solo per illuderci che certe sensazioni provate una volta si ripetano ancora e ancora e non vadano del tutto perse. Ha sicuramente ragione. Per me oggi non è semplicemente il 22 Marzo. Mi sento sulla pelle il calore di una giornata allegra, mi sento ridere, rivedo tutto quell'azzurro. Mi vedo felice, mi vedo speranzosa. E oggi più di ieri mi fa male pensare che non c'è più parvenza di quella spensieratezza e di quella speranza.
Tutti mi dicono "hai bisogno di tempo, passerà". Sì, lo so che è così. Il tempo cura tutte le ferite, no? Ma nel frattempo, mentre sto aspettando, quanti altri giorni dovrò passare avendo nelle orecchie l'eco di una felicità promessa che non è mai diventata concreta e reale?

martedì 20 marzo 2012

La Primavera non è Primavera se non arriva troppo presto

"Buona Primavera!
Per chi vola non c'è frontiera..."
Pooh, "Chi fermerà la musica"

Lo so. avrei potuto citare ben altre canzoni o poesie dedicate alla primavera, da sempre ispiratrice di poeti e artisti considerati, dagli intellettuali impegnati che amano parlar difficile, culturalmente ben più elevati dei Pooh.
Ma ho sempre adorato i Pooh. E questa canzone, in particolare, mi lega a una persona a cui voglio bene. E quindi l'ho trovata perfetta per il primo giorno di primavera.
No no, non mi sono sbagliata: negli anni bisestili la primavera arriva un giorno prima!
Oggi a dire la verità il cielo è grigino ma la primavera si sente eccome: gli alberi da frutto sono tutti fioriti, così come le magnolie. L'aria è dolce, e c'è un profumo nuovo nell'aria.
Da sempre la primavera è simbolo di rinascita, di colori pastello, di soffi di luce; tutti quanti aspettiamo questa stagione perché speriamo che non solo la natura ma anche la nostra vita, ingrigita e infreddolita dall'inverno appena trascorso, si colori e si illumini.
Ho già avuto modo di parlare di questo: io amo il buio. Ciò non vuol dire che non ami altrettanto la luce. E in questo periodo ne avrei davvero tanto bisogno.
Si è soliti dire che l'anno bisesto sia un anno funesto. Non sono assolutamente d'accordo: ben venga l'anno bisesto se quel giorno in più è un giorno di primavera, di luce e di colori pastello!
Buona Primavera a tutti!

N.B. Il titolo di questo post è una citazione di G. K. Chesterton

sabato 17 marzo 2012

Da grande voglio fare la spia!

Ultimamente mi sono fatta una cultura cinematografica sui film di spionaggio; da quelli più seri ai "giocattoloni", le storie si somigliano sempre un po' tutte: c'e un cattivo (che sia un russo, un trafficante d'armi latino americano, o un arabo in cerca di vendetta), un buono (che è sempre una spia integerrima) e un oggetto da recuperare (una bomba, un progetto segreto, un oggetto misterioso che potrebbe cambiare il destino dell'intera popolazione terrestre). In questo quadretto standardizzato, le storie si sviluppano più o meno in due direzioni: o la spia in questione deve salvare se stesso da accuse infamanti di essere un traditore e nel frattempo salvare il mondo, oppure la spia scopre che stanno cercando di incastrarla e si vendica uccidendo i cattivi e nel frattempo salva anche il mondo. Che fantasia.
In ogni caso, in tutti i film di spionaggio che si rispettino c'è una spia di sesso femminile. A volte è la protagonista, altre volte è una coprotagonista o un personaggio di minor rilievo, ma è sempre e dico SEMPRE bellissima oltre misura. Ogni volta che finisco di vedere un film del genere mi scopro a sognare di essere una spia anch'io e mi domando: ma perché le ragazzine di oggi prendono le veline come modello da imitare? Ma non sono meglio le spie dei film?
Pensateci: belle, magre e con le tette grosse, ma anche intelligenti e scaltre; Sanno truccarsi alla perfezione e usare un mitra. Sanno guidare moto, macchine sportive, aerei e a differenza dei loro colleghi maschi lo fanno coi tacchi 12. Roba che io è già tanto se riesco a stare in piedi sui tacchi 12. Sono super affascinanti e riescono a prepararsi per una serata galante (c'è sempre una serata galante, fateci caso) in meno di dieci minuti, infilandosi un vestitino haute couture (che hanno sempre in valigia, ci mancherebbe!) e passandosi un velo di rossetto sulle labbra (sempre carnose). E poi, di solito, durante queste serate, si trovano a dover fare combattimenti all'ultimo sangue riuscendo a non farsi smagliare le calze e a non rovinarsi l'acconciatura.
Oltretutto, essendo spie girano il mondo, sono a conoscenza dei segreti più segreti del pianeta e sono esperte di arti marziali. Usano tecnologie del futuro e hanno uno stipendio di tutto rispetto. Macché veline, meglio, molto meglio, spie!

E poi... diciamo la verità, quale donna non vorrebbe, durante un litigio con il proprio fidanzato/marito/compagno, essere capace di fare questo?

giovedì 15 marzo 2012

Il collezionista di cuori spezzati

Stamattina ho scoperto che il mio vicino di casa ha messo in vendita la sua villetta. E non vi nascondo una certa delusione. È un vero spasso avere quel tipo come vicino di casa. Quando si è trasferito qui, arrivava dalla città. Il classico tipo che lavora in banca, sempre coi vestiti firmati e tutto impomatato. Divorziato, con una figlia preadolescente che poteva vedere nei fine settimana, decise di prendersi la villetta accanto a casa mia per convivere con la sua nuova compagna, soprannominata immediatamente da tutto il quartiere "la Barbie". Per me "la Barbie" era un vero mito. Ogni mattina usciva alle 7 per recarsi al lavoro truccata e vestita come se andasse a un sfilata di moda. Non l'ho mai vista e dico MAI con lo stesso vestito addosso. Bella, mora, un po' svampita, con quell'eterna aria da pupa del capo, nonostante non fosse più una ragazzina ma andasse per i 40. Lui la trattava come una bambolina. Ogni giorno tornava a casa con i fiori o un regalo per lei. Per il primo Natale passato nella loro nuova casa le regalò un anello: un brillocco che sembrava un lampadario! Le dette l'anello dicendole "non ho mai amato nessuna come te!". Sei mesi dopo la lasciò per un'altra. Un bel mattino vidi "la Barbie" che caricava tutti i suoi (mille) vestiti su un furgoncino, mettere le chiavi nella cassetta della posta e andarsene con gli occhi gonfi e (orrore!!) struccata. Anche le Barbie piangono.
Al suo posto arrivò una biondina con la puzza sotto il naso e con un bel caratterino da donna in carriera. Insieme a questa nuova donna, lui diventò un altro: tornavano la notte tardissimo, a volte si fermavano ad amoreggiare (anche pesantemente) nel vialetto d'ingresso, in estate... e la finestra della mia camera dà proprio sul loro vialetto: secondo voi mi facevo i fatti miei? Nooooo! Come si fa? Eheh. A volte, se ero seduta in giardino, sentivo alcune loro conversazioni a luci rosse. Era un vero spasso, ve l'ho detto!
E ora che se ne vanno, chissà se arriverà un altro inquilino dalla vita altrettanto movimentata.
Sicuramente anche Mei Li ci rimarrà malissimo. Voi direte: che c'entra la tua dolce cagnetta? Eh, c'entra eccome! Perché la figlia di lui, che viene a trovarlo ogni fine settimana, ha un bellissimo cagnolino, un Border Collie. E la Mei Li ne è innamorata persa. Fin dal primo giorno in cui si sono visti è scoppiato l'amore vero. Alcune domeniche l'ho scoperta ad aspettarlo vicino alla siepe che divide le nostre due proprietà. Nonostante sia stata sterilizzata, ha conservato per quel cane un amore che va oltre l'attrazione fisica. Quando si vedono si corrono incontro e si scondinzolano tutti felici! Mi si stringe un po' il cuore a pensare che Mei Li non vedrà più il suo amichetto. Ma così è la vita: tutto finisce, sempre.
E il mio vicino di casa spezzerà un altro cuore.

martedì 13 marzo 2012

Sarà perché MI amo!

Vicino a Firenze, in un paesino chiamato Leccio Reggello, esiste un posto magico per tutte/i coloro che sono, come me, vittime dello shopping. Questo posto si chiama "The Mall" ed è conosciuto come "il villaggio outlet dei ricchi" (o almeno, in casa mia lo chiamiamo così). Immagino che molti di voi siano andati nei villaggi outlet McArthurGlenn (tipo quelli a Barberino del Mugello, a Serravalle o a Castel Romano). Ecco, dimenticateli!
"The Mall" è tutto un altro mondo. Lo vedi già dagli eleganti sacchetti neri con raffinata scritta bianca che ti danno per i tuoi acquisti. Lo vedi appena metti piede sulle passerelle di legno, appena entri in uno dei tanti (ma non tantissimi) negozi, tutti con vetrine a specchio e ragazzoni bellissimi che ti aprono la porta quando entri e quando esci. E lo vedi dalle firme: Gucci, Dior, Fendi, Prada, Yves Saint Laurent, Sergio Rossi, Alexander Mc Queen, Valentino, Tod's, Hogan, Ungaro, Ferragamo... e così via.
Ci sono andata domenica scorsa. E ci ho lasciato il cuore, gli occhi...e buona parte del contenuto del mio portafoglio.
Di fatto, la gente (ricca) ci va non tanto per i vestiti (se non avete taglie da passerella e carta di credito illimitata, dimenticatevi di trovare qualcosa: per capirci, una camicetta di Cavalli taglia 38 costava a metà prezzo 540 euro), quanto per gli accessori. Trovare una Gucci o una Fendi a 320 euro è un vero affare, per chi è abituato a spendere 2000 euro per una borsa del genere. In realtà, anche per chi vuol farsi un regalo o commettere una piccola follia, lì può farlo. Perché sono sempre follie "accessibili": se rinunciate a un week end oppure a qualche serata al ristorante, potete mettervi da parte dei soldini per regalarvi un paio di sandali di Sergio Rossi a 200 scontatissimi euro.
L'avvertimento per chi, come me, fa parte dei comuni mortali è che, andando a "The Mall", il rischio è quello di sentirsi un bambino in un parco giochi che non può montare su nessuna giostra. Ma lo spirito con cui si "affronta" quel posto deve essere diverso: dovete pensare che state andando a vedere oggetti che di solito potete vedere solo sulle riviste o in tv; oggetti che potrete toccare, annusare, soppesare. Una cosa che non potreste mai permettervi di fare nelle elegantissime boutique in centro città, laddove, quando entrate, una commessa con la puzza sotto il naso vi squadra dalla testa ai piedi cercando di capire se valga o no la pena rivolgervi perfino il saluto.
Se poi trovate la vera occasionissima, quella della vostra vita, fate un bel respiro e non fatevela scappare. Ma state pronti anche ad andare via a mani vuote, sospirando e pensando "la prossima volta magari andrà meglio...".
È certamente bello entrare nel palazzetto a due piani riservato solo a Prada. Un vero e proprio centro commerciale. Enorme, scintillante, con le scale mobili al centro e le commesse con l'auricolare.
Per quello che mi riguarda, mi sono concessa una borsa Braccialini. Era un vero affarone (solo 68 euro, come si faceva a non cedere alla tentazione??) e soprattutto era PERFETTA per il momento che sto attraversando: rosa delicatissimo, forma un po' a cestino, molto femminile e romantica, è in ecopelle stampata con cuoricini e frasi positive "I love my free time", "I love my car", "I love my body" "I love shopping" e soprattutto "I love myself"! Ed è davvero l'ora di amarsi un po' sul serio!

sabato 3 marzo 2012

"...Nothing to win and nothing left to lose..."

"Io ho bisogno che qualcuno abbia bisogno di me, ecco cosa. Ho bisogno di qualcuno per cui essere indispensabile. Di una persona che si divori tutto il mio tempo libero, la mia attenzione. Qualcuno che dipenda da me. Una dipendenza reciproca. Come una medicina, che può farti bene e male al tempo stesso"
Chuck Palahniuk, "Soffocare"

Io l'ho provato e so cosa vuol dire. So cosa si prova a provare dolore per la presenza di qualcuno e sentire che la sua presenza è anche la cura a quello stesso dolore.
È una cosa che ti devasta, ti impedisce di pensare con lucidità, ti toglie il respiro e le coordinate per orientarti nella vita. Sei come un sordocieco in un labirinto. Non capisci più cosa è giusto e cosa è sbagliato, non sai più dare valore alle cose. L'unica cosa che ti interessa è non stare male, ma per non stare male sei costretto ogni volta a tornare dalla persona che è anche la causa delle tue sofferenze, sprofondando sempre di più e alzando di un po' il gradino che ti porterebbe alla risalita. Finché un giorno ti accorgi che quel gradino è diventato un pozzo profondissimo e che non ne uscirai mai se qualcuno dall'alto non ti getta una corda. E anche in quel caso è difficile.
Chi sia partito per primo non conta, conta solo che a un certo punto il cammino diventa comune, gli sbagli diventano gli stessi, le accuse reciproche anche.Questo tipo di dipendenza è sempre reciproca: entrambi avete il bisogno di essere desiderati e di desiderare, di essere indispensabili e di trovare indispensabile l'altro. È una sete che non si placa mai e più riempite il bicchiere più avete sete.
Non so dire perché, che cos'è che ti spinge a vedere quella persona diversa da ogni altra. Cos'è che spinge quella persona a cercarti di continuo, anche se ti rendi conto che a volte fai di tutto per allontanarla, arrivando perfino a tirare fuori la parte peggiore di te. Perché a un certo punto cominci a sperare, e insieme temi, che sia lei a dire basta. E quando uno dei due finalmente ci riesce, la voragine che entrambi sentite dentro è qualcosa di indescrivibile. Niente da vincere e niente da perdere: solo il vuoto.

Che sia questo, l'amore?
Se è questo, non voglio amare mai più.

venerdì 2 marzo 2012

L'ultima notte al mondo? siete tutti invitati a cena!

Stamattina, mentre guidavo la mia auto nuova (una Fiat Panda bianca che odio, perché mi manca la mia vecchia Seicento adorata), ascoltavo la radio e ho sentito Tiziano Ferro che cantava "l'ultima notte al mondo la passerei con te". Premetto di non essere esattamente una fan di Ferro, ma ho trovato la frase obiettivamente scontata e mi sono detta "bella scoperta, tutti quanti passerebbero con la persona che amano l'ultima notte al mondo!"
Poi ho cominciato a pensare: ma se davvero sapessi che stanotte è l'ultima e che domani finirà il mondo, io che farei?
Penso che inizialmente andrei nel panico, probabilmente piangerei e mi dispererei. Poi correrei fuori a parlare con la gente per strada, per chiedere se è vero. Tornerei a casa e accenderei la tv e troverei probabilmente Vespa con un plastico della Terra (che si chiama Mappamondo) e dell'Universo, vedrei Paolo Crepet che ci aiuta ad affrontare questo momento difficile e sentirei le opinioni di coloro che ci crederebbero e quelle di coloro che direbbero che è tutta una bufala, nonostante Giacobbo in collegamento con i Maya Galattici confermasse che è tutto vero, tutto assolutamente vero.
Mi convincerei anch'io che è vero e probabilmente farei qualche telefonata. A quell'amico che non sento da tanto, per dirgli che gli ho sempre voluto bene. A qualcuno con cui ho litigato per dirgli che lo perdono e per chiedere di essere a mia volta perdonata. A qualcuno a cui ho gridato "ti detesto" per dirgli che dietro si celava un amore sconfinato.
Poi correrei dai miei genitori, bacerei mia madre e chiederei a mio padre di abbracciarmi forte dicendogli che è da sempre l'unica persona al mondo in grado di farmi sentire al sicuro, l'unica con la quale attraverserei l'Inferno. Poi chiamerei gli amici e cucinerei per loro una bellissima cena sontuosa, senza pensare ai grassi, agli zuccheri, alla conta delle calorie: lasagne, tagliatelle, fritti di tutti i generi, bistecche alla brace, dolci con la panna montata, cioccolata, prosecco, champagne.
Penserei con rimpianto a tutte le cose che non ho fatto, a tutte quelle che non ho visto, a tutte quelle che non ho studiato, letto, sentito.
E poi forse pregherei e penserei al dopo "chissà se c'è qualcosa davvero? chissà se mi risveglierò in un mondo migliore o se si spegnerà la luce e amen". Avrei paura di morire fra sofferenze, o di essere l'ultima a morire vedendo tutte le persone a cui voglio bene andarsene prima di me.
Credo che uscirei di casa, andrei in riva al mare, o in montagna o in un altro posto bellissimo, a guardare il cielo, e aspetterei lì. E credo che non sarei sola, perché tutto il mondo vorrebbe vedere l'alba dell'ultimo giorno della Terra.

E poi, chiuderei gli occhi.

giovedì 1 marzo 2012

Vi presento Tom

Mi rendo conto che fino ad oggi ho parlato diverse volte su questo blog di Mei Li, la "chowchowina" che abita con noi da ormai sei anni, ma ancora non ho parlato dell'altro simpatico componente della famiglia: il gatto, Tom.
Ok, lo so che il nome non è esattamente un esempio di originalità, ma vi spiego come sono andate le cose.
Circa sei anni fa ero in cerca di un gattino e andavo in giro nei negozi di animali per vedere se trovavo annunci di persone che regalassero micetti appena nati. Un giorno trovai un annuncio interessante: una famiglia che viveva con dodici, dico DODICI, gatti di razza Maine Coon aveva appena avuto una nuova cucciolata e li regalava. Pensando che ci fosse dietro una fregatura, telefonai un po' sospettosa e trovai invece dall'altra parte una signora gentile che mi dette appuntamento per l'indomani. Io volevo una femmina e lei mi confermò che le erano rimaste proprio due femminucce.
Quando andai a prendere la gattina mi resi conto che, apparentemente, fregature non ce n'erano: era bellissima e dolcissima. La portai a casa e la chiamai Lulù.
Insieme a Lulù arrivò anche Mei Li, cuccioletta anche lei, e insieme crescevano benissimo.
Un giorno scoprii Lulù intenta a darsi una lavatina nelle parti intime, come sono soliti fare i gatti specialmente dopo aver mangiato e dormito. E lì feci una scoperta scioccante: Lulù aveva... come dire... attributi non esattamente femminili.
Non so come feci a non rendermene conto prima, sta di fatto che la portai dal veterinario che mi confermò che il gatto era maschio e non femmina, e lì per lì dovetti trovare un nome al volo, e l'unico che mi venne in mente fu Tom.
In realtà Tom è tale a quale al gufo Anacleto di "La spada nella roccia": scorbutico e con lo sguardo sempre accigliato, brontolone e polemico oltremisura ma incapace di fare del male a una mosca: dorme spesso in cantina, ma per prendere i topi dobbiamo mettere le trappole, perché lui non ci pensa nemmeno per sbaglio.
Purtroppo, essendo figlio di consanguinei (ecco dov'era la fregatura) non gode di buona salute (ma non ha mai avuto malattie particolarmente gravi, sempre piccoli problemi), non si è sviluppato molto in altezza e gli è rimasta la coda un po' corta (il Maine Coon dovrebbe avere zampe e coda lunghissime). Tuttavia, si è sviluppato benissimo in larghezza, il che fa di lui un buffo gattone cicciotto con le zampone enormi e corte e il pelone arruffato. Già, perché riuscire a pettinarlo è quasi impossibile: per cui a volte mi ritrovo a dovergli tagliare i ciuffi di pelo che si sono trasformati in veri e propri rasta, per non doverlo trovare un giorno a cantare "No Woman no cry".
Vive pacifico senza mai allontanarsi dal giardino: per riuscire a saltare su un muretto ci ha messo un anno, per salire su un albero due, dopodiché deve aver deciso che la cosa che non faceva per lui e ha rinunciato. Sale al massimo sul tetto dell'auto oppure in posti dove, per arrivare in cima, non deve fare salti molto alti, ma ha disposizioni comodi scalini. Non è molto coraggioso: riesce ad avere paura anche di una folata di vento. Non vorrebbe essere preso in braccio tanto spesso, ma non essendo esattamente Mennea nello scappare si riesce ad agguantarlo facilmente per accarezzarlo un po'. Accetta tre carezze alla volta, alla quarta già brontola. E siccome non è certo mingherlino, ma pesa quasi 7 chili, lui non emette flebili miagolii, ma certi "do di petto" che Pavarotti gli farebbe un baffo.
Come tutti gli scontrosi ma buoni è adorabile. Lo adora perfino la Mei Li, che odia qualsiasi altro gatto in circolazione. Tuttavia, definire Tom un "gatto" nel vero senso della parola è un po' azzardato.