martedì 5 giugno 2012

La tristezza di amare (un) Narciso

Eco e Narciso: che coppia triste. Lui non era certo campione di simpatia, lei non brillava per intelligenza... come poteva finire se non in modo tragico?
Ma partiamo dall'inizio: figlio del dio del Cefiso e della ninfa Liriope, Narciso nacque bellissimo e biondissimo (o almeno così me lo immagino). Quando divenne adulto tutte le ragazzine si innamoravano di lui. Ma lui, figuriamoci, non se le filava nemmeno. Me lo immagino passeggiare con aria spavalda, un po' alla Tony Manero, mentre guarda le ninfette che sospirando si gettano ai suoi piedi, con l'aria di chi pensa "levati, pupa, io sono Narciso! C'è di meglio per me!". Bè, dato che le donne tutto possono sopportare tranne che il rifiuto, le giovani disprezzate da cotanta bionda virilità si incazzarono non poco e chiesero vendetta al Cielo.
Nemesi, quella simpatica personificazione della Vendetta Divina, che ogni donna vorrebbe avere come migliore amica, sentì le preghiere delle fanciulle rifiutate e furibonde e decise di aiutarle. Fece quindi in modo che un giorno di grande caldo, dopo la caccia, Narciso colto da sete improvvisa si sporgesse su una sorgente per dissetarsi e ... ohhhh! vedesse il proprio volto, così bello, ma così bello da innamorarsene all'istante. Fu talmente colpito dalla sua immagine riflessa che si ripiegò su se stesso e si lasciò morire. Nel punto in cui morì spuntò il fiore che porta il suo nome. Pare che anche da morto, ai bordi dello Stige, continuasse a cercare di specchiarsi per distinguere i suoi amati lineamenti. Ricordate Buffalo Bill de "Il silenzio degli innocenti"? "Io mi scoperei, mi scoperei a non finire!". Tale e quale.
Eco era una ninfa dei boschi e delle sorgenti, anche lei innamorata di Narciso, anche lei brutalmente rifiutata. Invece di incazzarsi e reagire come fecero tutte le altre, la dolce Eco decise di ritirarsi in solitudine, smettendo di mangiare e dimagrendo fino a scomparire. Di lei rimase solo la voce lamentosa che ripeteva le ultime sillabe delle parole che sentiva pronunciare.
Diciamoci la verità: questi due non ispirano simpatia né compassione. Per passare alla storia son dovuti morire entrambi. In realtà la vera punizione per loro sarebbe stata l'essere costretti a stare insieme, perché sarebbero diventati una coppia come tante se ne vedono tutt'oggi: lui, in perenne adorazione di sè, sempre alla ricerca di qualcosa di meglio e lei invisibile e triste al suo fianco, rassegnata e disillusa. Sarebbero diventati squallidamente banali, tristemente compatiti dagli amici che, uscendo con loro a cena, li avrebbero guardati pensando "spero di non diventare mai come voi".
La morte li ha resi leggenda e li ha salvati da un destino ancor peggiore.
Mi viene in mente una poesia di un poeta francese di inizio Novecento, Raymond Radiguet, che parla proprio di Eco e Narciso.
Vi saluto così, oggi.

Tu ti sposi con la morte
senza l'assenso degli dei;
ma il suicidio è un barare
che ci fa odiosi ai giocatori,
e ci preclude al loro cielo.

I morti che non si aspettano
vanno su e giù davanti al cielo
foglie morte le loro anime
preda dei venti, dei quattro venti.

Poiché in cielo si resta con gli anni
che si avevano all'arrivo
si dà la morte Narciso.
Non vi trova alcun vantaggio
se non il gusto del rimorso.

Se tanto teneva al suo volto
perché non pensò di annegarsi
nel fonte d'eterna giovinezza?
Tu, colomba scompagnata,
di' a cosa può giovarti
il ripetere di questo sciocco
l'ultima parola? Ascoltiamo
Eco in mezzo a questo boschetto,
sei tu colomba o pappagalletto?

Di quest'ultimo ti avvali,
pigrona, per far le smorfie
ai dolci detti che il tuo Narciso
non ebbe cura di proferire.

Lui, Narciso, ch'erra nelle valli
della morte e di roccia in roccia
lei nella vita, si equivalgono.
Li avvicina questa indolenza;
Che bella coppia avrebbero fatto!

Raymond Radiguet, "Tu ti sposi con la morte" (1920)

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