martedì 3 gennaio 2012

Una pisana folgorata da un livornese

Oggi l'umore va un po' meglio. Ciò non vuol comunque dire che va bene. Ma dato che sono in lenta risalita, oggi non voglio scrivere nulla che sia lamentoso o triste. Il rischio di scadere nel patetico è sempre dietro l'angolo, si sa. E non c'è nulla di più patetico di una donna patetica che si rende conto di esserlo e non fa niente per evitarlo.
Orbene. Dato che, come ho già detto in passato, quando sono in questo stato mi rinchiudo in camera a leggere, oggi voglio condividere con voi le mie letture. Un bel post noiosetto e snobbino è quel che ci vuole per anestetizzarsi un po'.
Recentemente ho "scoperto" Giorgio Caproni,  poeta contemporaneo. Livornese di nascita, ma genovese d'adozione, interrotti gli studi musicali si dedicò alla letteratura. Fece la guerra, nel 1939, combattendo sul fronte occidentale, e restò poi coi partigiani in Val Trebbia fino alla liberazione.
Negli anni '80 fu critico del "Punto", della "Nazione", della "Fiera letteraria" e traduttore. Morì nel 1990.
Fin qui, i dati anagrafici. Ovviamente nei licei non viene studiato, purtroppo (o almeno finché ho frequentato il liceo io, non se ne faceva parola). 
Da quando l'ho scoperto, mi ha folgorata.
Spesso ho notato che anche nella poesia esiste la moda. E negli ultimi 20 anni i poeti che vanno "di moda" sono Neruda, Shakespeare, Hikmet, solo per citarne alcuni. Il che è anche un bene, perché la poesia è sicuramente il genere letterario meno seguito. Ma seguendo le mode, si rischia spesso di perdere di vista coloro che meriterebbero un'attenzione particolare.
Caproni, a mio avviso, è uno di questi.
Le sue poesie sono come sassi che vi colpiscono in pieno. Per il cinismo, per la genialità, anche per la cattiveria, quella sana, quella che tende a dissacrare:

"Se ne dicono tante.
Si dice, anche,
che la morte è un trapasso.

(Certo: dal sangue, al sasso)."
(Cianfrogna)

Sapeva essere provocatore:

"Si siede solo al suo tavolo.
Si chiede con malinconia
se altra iattura ci sia
peggiore della morte del Diavolo.

Il Male, senza più fantasia."
(Iattura)

Sapeva affrontare con ironia anche i temi più delicati, come la religione:

"Dio non c'è,
ma non si vede.
Non è una battuta: è
una professione di fede"
(Professio)

E con la stessa ironia prendeva in giro se stesso e il suo essere poeta, diceva che fra le tante iatture che aveva avuto nella sua vita la peggiore era di esser nato nella terra di Dante. E lo stesso Shakespeare viene un po' preso in giro, o forse sarebbe meglio dire, di nuovo, dissacrato:

"Buttate pure via
ogni opera in versi o in prosa.
Nessuno è mai riuscito a dire
cos’è, nella sua essenza, una rosa"
(Concessione)

Non mancano la malinconia e la tristezza, per la perdita delle persone care, per la consapevolezza della solitudine; ma è una tristezza mai esasperata, quasi rassegnata. A tratti pervasa di cinismo:

"No non mi sono fatta
troppa compagnia.
Anche se ho già detto spesso,
e volentieri ridico,
d'aver trovato in me stesso
il solo mio vero amico."

E la morte, che ricorre spesso come tema, è affrontata quasi sempre con la solita verve ironica da toscanaccio:

"Non temo la morte,

Ho infatti una fortuna, più grossa
di quella di chi ha vinto un terno.

Non soffro d'insonnia.

                               Quindi
potrò più che tranquillamente
dormire il mio sonno eterno."
(Fortuna)

Non voglio certo riportare qui l'intera opera poetica di Giorgio Caproni. Vi saluto con un'ultima, struggente, poesia, sperando di aver incuriosito coloro che non lo conoscevano. Diceva di lui l'amico Pier Paolo Pasolini "... com'è libero questo poeta da moralismi, da tesi: in questo senso uno degli uomini più liberi del nostro tempo letterario".

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
 
Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia. 
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare. 
 
(Scusate. E’ una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).
 
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
 
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
 
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
 
Scendo. Buon proseguimento.

Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso

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