martedì 31 gennaio 2012

La rabbia che apre gli occhi

Notte da lupi: vento freddo e neve impediscono a tutti di mettere il naso fuori casa e io mi riparo al calduccio della mia camera, sotto le coperte. Mi sembra di sentire lo stesso freddo nel cuore e nella mente. E per quello non c'è copertina termica che tenga, quello è un freddo che difficilmente se ne andrà. 
In questi quindici giorni ho affrontato una "rivoluzione sentimentale", ho dovuto scegliere di stare male per evitare di stare ancora peggio in futuro. Ma ovviamente, di fronte all'angoscia e alla disperazione di certe nottate, più volte mi sono domandata se avessi fatto la scelta giusta. Dire addio a qualcuno non è facile; dirglielo sentendosi accusare di avergli rovinato la vita, anche se razionalmente so che non è vero, è quasi impensabile. Più volte ho desiderato tornare indietro e "rimediare", perché il dolore era troppo insopportabile; un po' come quando devi affrontare una cura particolarmente forte, che ti causa sofferenze peggiori del male che stai curando e in qualche modo pensi che preferiresti il dolore ormai familiare della malattia, anche se magari ti sta portando alla morte.
Poi però, ogni tanto, nei rari e brevi momenti di lucidità, riuscivo ad aver ben presente la distinzione tra bene e male, tra giusto e bagliato e allora mi convincevo che sì, quella era la scelta giusta, che finalmente avevo ripreso in mano la bussola e, pur non sapendo ancora qual era la via giusta da percorrere, se non altro avevo riconosciuto e scartato quella più sbagliata possibile.
In questi quindici giorni ho anche aspettato, combattuta fra il senso di colpa e la frustrazione, in preda a sentimenti contraddittori, cercando di lottare contro quella parte di me che ancora voleva rimanere ancorata ai ricordi degli ultimi due anni. Ho aspettato, dicevo, che arrivassero quelle parole che mi avrebbero aiutata, che arrivasse un "mi dispiace", che arrivasse un "nonostante tutto ti ho voluto e ti voglio bene". Ma quelle parole non sono arrivate. Tendendo l'orecchio, in silenzio, con tutti i sensi rivolti verso il cuore di una persona che, bene o male, ha condiviso con me due anni della sua vita, l'unico rumore che ho sentito è stato quello del mio, di cuore, che scricchiolava sempre più forte fino a spezzarsi del tutto. Non c'è stata comprensione, mai, per la mia sofferenza. Per due anni ho accettato umiliazioni, ho chiesto perdono anche quando non avevo sbagliato, ho chiesto scusa se stavo male, ho creduto a bugie e inganni a tal punto da cambiare irrimediabilmente il corso della mia vita. Ho aiutato, ascoltato, consolato, curato... e tu che stai leggendo, adesso, puoi mentire a tutti, ma non a te stesso. Tu sai cosa hai fatto. Cosa MI hai fatto.
Oggi ho avuto, per la prima volta, una visione lucida di me stessa e mi sono fatta rabbia; le lacrime, gli psicofarmaci, le nevrosi, gli attacchi di panico, i sensi di colpa: di colpo è sparito tutto, inghiottito da una rabbia assurda, improvvisa e accecante. E allora ho deciso che di fronte alla sofferenza vera non esiste il "politicamente corretto", non esiste il perdono a oltranza per chi non chiede mai scusa. Una cosa mi hanno insegnato fin da piccola: ad ogni azione corrisponde una reazione. Io ho sempre pagato per i miei sbagli. Adesso, che paghi qualcun altro per i suoi: non è vendetta, è giustizia.

2 commenti:

  1. Mi fa rabbia anche il solo leggere questo tuo post tesoro..Ti posso solo applaudire per aver preso una decisione per te stessa,in modo sofferto ma finalmente lucido.Ti applaudo come spettatrice,non conoscendo bene la storia.E giustizia sia!

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    1. Molti mi dicono che sono stata brava, cazzuta, coraggiosa... in realtà è stato solo istinto di sopravvivenza e anche l'aiuto e la vicinanza di persone che non credevo potessero dimostrarmi la loro solidarietà e la loro amicizia in questo modo! Giustizia sia, sempre. Preferisco essere considerata "cattiva e vendicativa" piuttosto che essere derisa e compatita.

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