sabato 12 maggio 2012

Il club degli sbagli

Avete presente quando in radio passano quelle canzoni che sembrano scritte apposta per voi e vi guardate in giro come se tutto il mondo lo sapesse, come se ce l'aveste scritto in faccia che stanno parlando di voi? La realtà invece è che certe storie si ripetono sempre. E questo, se da una parte è consolatorio, una specie di "mal comune mezzo gaudio", dall'altra è anche un po' triste, perché viene a mancare l'originalità, il poter dire "come me, nessuno mai".
A me è successo stamattina al supermercato, con una canzone della Pausini che non avevo mai sentito, tratta dal nuovo album: "Mi tengo". No, non parla di un giro sulle montagne russe. Parla, manco a dirlo, di un amore finito (d'altra parte, la Pausini, da quando Marco se n'è andato, è rimasta traumatizzata).
Per riassumere, la canzone dice più o meno: "mi tengo le cose belle, senza pensar troppo a quelle brutte", e annovera fra la cose belle i soliti brividi alla schiena, il guardare le stelle insieme e bla bla bla.
Mi vergogno molto, devo ammetterlo, di essermi riconosciuta in cotanta banalotta accozzaglia di frasine romantiche. Ma tant'è.
Il testo della Pausini è buonista, ovviamente, perché a un certo punto dice "mi tengo la ferita aperta, di aver ragione cosa me ne importa". Sì, è vero, anch'io l'ho pensato qualche rara volta in cui gli antidepressivi che avevo preso erano talmente tanti da inibirmi qualsiasi reazione aggressiva. Per dire, c'è stato un giorno in cui in un negozio mi hanno portato via da sotto il naso l'ultimo scontatissimo paio di ballerine Guess che mi stavano DA DIO e io ho sorriso dicendo "va bene, spero che le ragazza che le ha comprate sia contenta". Ero proprio fuori di testa. In realtà a me di aver ragione importa eccome. Mi è sempre importato da morire. Sono stata programmata per avere l'ultima parola. Per quanto riguarda la ferita aperta... è tristemente vero, quella lì fa proprio male. Hai voglia di metterci su il balsamo delle parole degli amici, di chi ti ripete che ti vuole bene, che ti abbraccia, che sei speciale. La ferita rimane là, basta sfiorarla con un pensiero, per sbaglio, che ti fa piangere. Tocca conviverci, che altro si può fare?
Quando un rapporto finisce si tende a ricordare molto spesso solo le cose brutte. Il perché è ovvio: le cose brutte hanno pesato di più, altrimenti il rapporto sarebbe andato avanti. Lapalissiano, direi. Però, poi, se ci pensi, la sofferenza nasce da tutte le cose belle che ti mancano. Ma si può essere fatti peggio di così?
Ho già scritto un post su questo argomento, si intitolava "La paura di aprire un cassetto". Se lo rileggo adesso, mi rendo conto di quanto fossi lucida nel prevedere la sofferenza che sarebbe venuta, eppure me la sono procurata lo stesso, perché, tanto per citare di nuovo la canzone della Pausini ero "parte di uno sbaglio". E fra continuare a sbagliare stando male e sentendomi in colpa e ricominciare a camminare a testa alta (anche se il senso di colpa è un po' come la ferita aperta: non passa mai, tocca conviverci) ho scelto la seconda strada. Tutto questo però non cancella il fatto che ci siano state cose belle, che non ho intenzione di dimenticare. E le cose belle che ci sono state sono quelle che ogni altra persona a questo mondo ha vissuto. Saranno banali, ma sono vere: le stelle, i brividi alla schiena, i baci, le risate etc, etc... Ecco perché quella canzone parla di me come di altre milioni di persone, e la prossima volta che la sentirò, mi girerò alla ricerca di sguardi persi come il mio, e ricambierò lo sguardo in un silenzioso saluto di benvenuto nel club di chi è "...stato parte di uno sbaglio, ma a volte anche qualcosa di un po' meglio".

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