giovedì 10 maggio 2012

Zia Umbertina

Ogni tanto penso alla zia Umbertina con nostalgia. Era la zia della mia nonna materna, in verità, ma in casa la chiamavamo tutti così. Il mio bisnonno, Vittorio, aveva tre fratelli e uno di loro, Ernesto, aveva sposato Umbertina. Quando nacqui io erano ancora vivi entrambi, ma di lì a pochi anni lei rimase vedova. Era nata nel 1910 e me la ricordo come una vecchietta arzilla coi capelli neri a caschetto, un po' mossi (ovviamente tinti), con due tette enormi (la cui pelle era fresca come quella di una trentenne) e completamente gobba, tanto che sembrava lo fosse per il peso delle tette. In realtà era diventata gobba perché aveva lavorato una vita nei campi, curva a strappare erbacce, raccogliere verdure e lavorare la terra. Per spostarsi in paese (lo stesso paese in cui tutt'ora abito, Zambra) usava una vecchissima bicicletta, ma senza salirci: la usava come un deambulatore, appoggiandovisi in modo da poter raddrizzare un po' la schiena e riuscire così a vedere dove andava mentre camminava.
Quando mio padre nel '90 comprò un televisore nuovo, portò il nostro vecchio Telefunken alla zia Umbertina, che scoprì così la tv a colori. Era appassionata di calcio. Quell'estate si gustò i Mondiali a colori e, se passavi davanti casa sua, la sentivi fare il tifo come un ultrà.
Veniva a casa mia ogni giorno: alle nove di mattina la vedevi arrivare attaccata alla sua bici e non se ne andava fino all'ora di pranzo. Prima di partire, però, meteva a cuocere la minestrina. Immaginatevi che brodaglia dovesse essere dopo tre ore di cottura. In realtà ai suoi tempi era stata una cuoca bravissima, tant'è che le sue ricette fanno ancora parte della tradizione di famiglia che custodisco gelosamente. Chi ha assaggiato le mie lasagne, sa di cosa parlo: lì dentro sopravvivono ancora i segreti culinari della cara zia Umbertina.
Era molto affezionata alla mia bisnonna, sua cognata, che abitava con noi e che morì nel 1991. Sentirle parlare tra di loro era come salire su una macchina del tempo. Un conto è studiare la prima e la seconda guerra mondiale sui libri di storia, un conto è sentirsele raccontare da chi le ha vissute entrambe. Della prima si ricordavano poco, perché nel 1914 erano bambine, ma della seconda avevano un ricordo vivissimo ed i loro racconti erano lucidi ed originali, perché ognuna di loro aveva vissuto la guerra in modo diverso e personale; certi racconti non si trovano quasi mai sui libri di storia e sono stata davvero fortunata ad averli potuti ascoltare in prima persona.
Quando la mia bisnonna morì, la zia continuò a venire a casa nostra ogni giorno, perché considerava mia nonna come una figlia. La sua vera figlia, Anna, era morta all'età di 30 anni; la zia Umbertina raccontava sempre che alla nascita un ginecologo-macellaio le aveva parzialmente occluso una vena usando il forcipe. Questo aveva fatto sì che la povera bambina crescesse con un grave ritardo mentale e che, all'età di trentanni, la vena si occludesse del tutto facendola morire prematuramente. Mia nonna aveva la sua stessa età, erano nate entrambe nel 1937, e quindi per questo motivo era la nipote preferita della zia: in qualche modo le ricordava la figlia tanto amata e perduta.
Tuttavia, nonostante le tragedie che aveva vissuto, non aveva perso il sorriso, né la voglia di cantare. Adorabile zia. Cantava sempre. Ovviamente sapeva solo le canzoni dei suoi tempi, di quando era stata giovane, e quindi ogni giorno partiva col "Tango delle capinere",  passava poi a "Parlami d'amore Mariù", poi a "Stramilano" e via discorrendo.
È morta nel 1999, all'età di 89 anni. Non le ho mai detto che le volevo bene, ma credo che lo sapesse da sola: appena potevo, fin da bambina, scappavo a casa sua per farmi raccontare "le storie tristi" perchè sapeva raccontarle col sorriso. Io le chiedevo mille "perché" (eh sì, io ero una di quelle bambine che non facevano che chiedere il perché di tutto, croce di mia madre, delizia di mio padre) e lei rispondeva sempre senza mai perdere la pazienza. Non ho mai conosciuto una persona più buona di lei. Anche se quando è morta avevo 20 anni, e quindi ero già adulta, mi rendo conto che non si è mai troppo grandi per perdere le persone a cui davvero vogliamo bene e che solo col tempo ci accorgiamo di tutte le occasioni che abbiamo perduto quando erano ancora in vita. Arriva sempre troppo tardi la presa di coscienza. 

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