mercoledì 11 aprile 2012

Quando per salvarsi serve sognare

Qualche giorno fa sono andata al cinema per vedere "Titanic" e per rivivere tutta l'emozione del film in 3D. Quando l'ho visto per la prima volta avevo 18 anni, era un sabato pomeriggio e quella mattina ero stata interrogata su Leopardi meritandomi un bell'otto. Con una compagna di scuola avevamo deciso di andare a vedere questo film di cui tanto si parlava, che veniva presentato come "il più costoso della storia del cinema, ricco di effetti speciali mai visti prima!", soprattutto per curiosità. Per cui, all'uscita di scuola, lasciammo gli zainetti nel negozio di un'amica comune, andammo a prenderci una pizza e aspettammo che il cinema aprisse (un cinema in centro a Pisa che si chiamava "Astra", adesso al suo posto c'è "Zara").
Entrammo per vedere gli effetti speciali, uscimmo in lacrime. E vabbè, penserà qualcuno di voi, eravate adolescenti, romantiche e sognatrici, cos'altro avreste potuto fare di fronte alla tragica fine della storia d'amore di Jack e Rose?
Quattordici anni dopo, all'età di 32 anni, con la stessa compagna di scuola, che adesso è diventata la migliore amica che potessi mai avere, ho varcato la soglia di un altro cinema, per andare a rivedere lo stesso film. E il risultato è stato lo stesso, esattamente come la prima volta.
Non starò qui a snocciolare i premi vinti da "Titanic", né il successo planetario che ha avuto, né il fatto che cambiò a quel tempo le sorti dell'industria cinematografica che era entrata in profonda crisi perché la gente non andava più al cinema. Non voglio nemmeno ribattere a tutti gli snobbini che storcono il naso con orrore perché lo considerano un film commerciale e quindi indegno della loro attenzione. Non voglio ricordare il lavoro accurato fatto da tutti coloro che hanno lavorato alla produzione del film, dalla costumista alla truccatrice, da chi ha scritto la colonna sonora a coloro che sono scesi giù, fino in fondo all'oceano Atlantico, per andare a filmare il vero Titanic. Non mi dilungherò sul lavoro fatto dagli sceneggiatori e dal regista, nel cercare di intrecciare perfettamente le storie dei veri personaggi presenti sul Titanic a quelle dei personaggi inventati; non voglio nemmeno commentare le critiche (abbastanza superficiali) di chi sostiene che non sia veritiero (d'altronde, questo film non è né veritiero, né verosimile, è semplicemente vero) che una nave sia affondata in così poco tempo, perché è evidente che certe persone non hanno mai letto nemmeno un articolo di giornale che si occupasse della vera storia del Titanic, altrimenti saprebbero che, sì, purtroppo, è andata esattamente così, compreso il fatto che alla fine la nave è andata giù "come un ascensore" in circa trenta secondi (cito le testuali parole di un membro dell'equipaggio che si salvò dal disastro. Se qualcuno fosse interessato a saperne di più, vi consiglio di leggere un libro che si intitola "I due Titanic", di Robin Gardiner e Dan Van der Vat, con una ricostruzione accurata e una teoria interessante su ciò che potrebbe celarsi dietro ad una tragedia che da 100 anni affascina e inquieta milioni di persone). Lascio perdere tutto, senza fare polemica. Alla fine i gusti non si discutono.
Voglio solo porre l'attenzione su un fatto: dopo 15 anni, dopo che tutti, o quasi tutti, hanno visto o perlomeno sentito parlare di questo film, la sala del cinema traboccava di gente, studenti e liberi professionisti, bambini e anziani, adolescenti e trentenni, operai e studiosi. Gente che, durante la proiezione, non ha quasi fiatato e al massimo si soffiava di nascosto il naso. Gente che alla fine ha applaudito a lungo, e non certo per il 3D.
Nessuna opinione, nessuna critica, nessun premio, vinto o no, possono essere più forti delle emozioni che gli spettatori hanno provato.
Per quello che mi riguarda, penso esattamente la stessa cosa di 14 anni fa: è un capolavoro. E non sono più un'adolescente. E di cose nella vita ne ho viste tante. Eppure.
Eppure sono stata di nuovo colpita nel profondo, in una parte di me stessa che avevo perfino dimenticato di avere, quando ho sentito la vecchia Rose pronunciare quella frase che già 14 anni fa mi tolse il sonno per diversi giorni: "Adesso sapete che c'era un uomo che si chiamava Jack Dawson e che lui mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata".
Jack si sacrifica per lei, Jack la salva da se stessa e dalla tragedia che stava vivendo, Jack la salva dal disastro. Forse è questo che rende inverosimile una storia vera, forse è la consapevolezza che nessuno di noi incontrerà mai qualcuno che ci salvi "in ogni modo in cui una persona può essere salvata" a rendere odioso questo film a molte persone, forse è sapere che un amore del genere non esiste, che nessuno si sacrificherebbe per salvare una persona conosciuta da soli tre giorni. Perché la realtà è ben diversa: la realtà è Schettino che abbandona la nave e se ne va, la realtà è quella della gente che, vedendo una bambina piangere disperata le monta addosso pur di mettersi in salvo su una scialuppa, la realtà è la gente ricca che ha pagato per mettersi in salvo senza bagnarsi nemmeno le sue belle scarpe firmate. È della Concordia che sto parlando, ovviamente. La realtà è quella. Non certo Jack e Rose. E a volte, il troppo ottimismo, il troppo sognare, il troppo romanticismo possono dare fastidio.

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