lunedì 30 aprile 2012

La filosofia della Bimbaminkia

Ultimamente mi sono ritrovata a dover spiegare a una ragazzina che sta studiando per la maturità "La coscienza di Zeno" di Italo Svevo. Per riuscire a farlo, ho dovuto mettere da parte, cercando proprio di sotterrarla sotto metri e metri di pazienza e comprensione, la mia naturale propensione ad irritarmi quando mi trovo a dover spiegare un concetto per più di due volte. D'altra parte, sono stata cresciuta con una regola aurea: le cose si capiscono alla prima, alla seconda quelle proprio difficili, se arrivi alla terza sei scema.
Mi rendo conto che questa concezione potrebbe risultare un tantinello drastica, ma è proprio grazie a questo "addestramento" se sono riuscita a diventare svegliotta quel tanto che bastava per non dover studiare per più di mezz'ora ogni due giorni al liceo, e per riuscire a studiare duemila (duemilacentoventuno, per l'esattezza) pagine di Storia dell'Arte all'università in tredici giorni e mezzo (e per quel "mezzo" intendo la mattina stessa dell'esame, in cui ho ripassato tutto, insieme ad un'amica, in un affollatissimo bar con tanto di juke-box, prendendo poi 27 all'esame).  Questo tanto per fare due esempi. Non è che sia mai stata un genio, è che non avevo tempo da perdere sui libri e quindi tendevo a non voler leggere due volte la stessa cosa, a meno che non fosse proprio difficilissima. E qui si ritorna alla regola aurea.
Con questa studentessa, invece, ho scoperto il (fastidiosissimo) metodo del "ripeti fino allo sfinimento", per cui ogni volta che devo fare lezione mi concedo mezz'ora di training autogeno, concentrandomi sulla respirazione manco fossi una partoriente, ripetendomi come un mantra "sii paziente, ce la puoi fare".
Immaginatevi dunque la mia agitazione oggi, sapendo che, parlando appunto di Svevo, avrei dovuto spiegare alla mia svogliatissima alunna la filosofia di Schopenhauer. Avete presente, no, Schopenhauer: il pessimismo, l'amore che è solo una maschera per celare il desiderio sessuale e l'accoppiamento, il suicidio come via di fuga, la cessazione del dolore che si ha solo quando si smette di desiderare... e via discorrendo.
Ero nel panico. Invece, con mia grande sorpresa, la fanciulla ha capito alla prima. Mi sarei già accontentata alla quinta. Invece no, alla prima!
Lì per lì sono rimasta quasi sconcertata. Dopodiché ho capito: chi mai potrebbe comprendere Schopenhauer meglio di un'adolescente perennemente innamorata e perennemente delusa, che passa il suo tempo a ricevere sms disperati dalle amiche che vengono lasciate dai ragazzi crudeli e alle quali lei poi telefona altrettanto disperata, quando l'ennesimo amorino le ha rifilato una fregatura? Chi mai potrebbe capire che "smettere di desiderare una cosa è il modo migliore per smettere di soffrire", chi, se non una ragazzina che soffre ogni giorno in balìa di desideri mutevoli come il mese di Marzo?
La domanda che però nasce spontanea è: ma Schopenhauer era una bimbaminkia?

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