venerdì 10 febbraio 2012

Riempire il vuoto scalando le montagne

"É strano pensare di una persona così vicina che potresti non rivederla mai più. Senti spalancarsi un vuoto, ma non sul futuro, che vuoto lo è quasi sempre. È il passato che sembra sprofondare, passare una volta per tutte, diventare fotografia."   Wu Ming, "54"
Già, la sensazione di vuoto. Credo sia la cosa peggiore che possa capitare a qualcuno. Sto combattendo da quasi un mese contro quella sensazione e mi sembrano passati secoli. Ho fatto letture in proposito e ho scoperto che, spesso, la gente preferisce rimanere in situazioni dannose, talvolta addirittura pericolose per la sua salute piuttosto che scegliere il vuoto. Perché è inutile negarlo: il vuoto fa paura, ti costringe a rimettere in discussione tutta la tua vita, ti costringe a combattere con tutti i demoni che avevi nascosto dietro a qualcuno che d'improvviso non c'è più. E in ogni momento pensi "no, non ce la posso fare!". Il terrore di non riuscire ad andare avanti, unita alla certezza di non poter tornare indietro è qualcosa che mette in ginocchio anche i più forti. Ma è lì che deve entrare in gioco la razionalità: non si può tornare indietro, non si possono rimediare gli sbagli fatti in passato, inutile stare lì anche a piagnucolare dicendo: "se avessi fatto, se avessi detto, se avessi pensato...". L'unica cosa che si può fare è, inevitabilmente, andare avanti. Sembra lapalissiano ma non è così semplice invece. Molti si fermano, non riescono ad andare avanti, aspettano solo che il tempo passi. Perché è come scalare una montagna: se quando sei a terra guardi quanto è in alto la cima potresti scoraggiarti, potresti rinunciare, potresti essere sopraffatto dalla paura. Bisogna invece procedere per piccoli traguardi: guardare la prima roccia sporgente cui potersi aggrappare e concentrarsi solo su quella, come se quella fosse il traguardo, perché in un certo senso lo è. È il traguardo della prima tappa. È la piccola vittoria che ti dà il coraggio di affrontare la seconda, e poi la terza e così via. Per quello che mi riguarda, ho già superato la prima tappa: sono riuscita a sconfiggere il senso di colpa che mi attanagliava. O almeno, l'ho messo a tacere (forse "sconfiggere" è una parola troppo grossa, ancora). La seconda tappa, quella sulla quale sto lavorando, è quella di non mettersi a piangere ogni volta che sono sopraffatta da un ricordo. Cosa non semplice, ma fattibile. Per ora le mie attenzioni sono rivolte solo a quello. La terza tappa, si vedrà: l'importante è avere la certezza che ci sia.

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