mercoledì 16 novembre 2011

In cerca dell'uoVo Perfetto

Joyce le chiama "Epifanie": quando un oggetto, un fatto, una persona che ci sta accanto si rivela improvvisamente per quello che davvero è, e di colpo noi capiamo ciò che fino ad allora era proprio lì sotto al nostro naso senza che riuscissimo a vederlo. Senza nulla togliere al caro James, io le chiamo "Gran Tranvate". Perché, di solito, ciò che improvvisamente vediamo in modo così chiaro e limpido non ci piace affatto. Esattamente come quando da bambini apriamo l'uovo di Pasqua. Già. È proprio da bambini che impariamo a sopravvivere alle delusioni. I tuoi genitori ti comprano quell'immenso ovone avvolto in una carta luccicante, e ti dicono "no, non devi aprirlo, devi aspettare! Chissà cosa ci sarà dentro!". E tu non fai altro che aspettare, immaginandoti che da quell'uovo escano giocattoli mai visti, fuochi d'artificio e chissà che altro. Poi arriva il giorno che finalmente puoi aprirlo, ti alzi alla mattina e non vedi l'ora, riponi in quel pezzo di cioccolata scadente tutte le tue speranze. E poi arriva la delusione, perché quello che trovi lì dentro è tutto ciò che non avresti mai immaginato e mai voluto. Mi ricordo di una volta che, di fronte alla mia faccia sconsolata per aver trovato dentro l'uovo di Pasqua un accendino, mia madre mi disse "Ma il regalo era l'uovo stesso, Michela!". Oltre al danno la beffa.
Molte persone sono come uova di Pasqua. Solo che, quando sei "grande", è molto più difficile consolarsi di fronte alla sorpresa della loro epifanizzazione. Per mia fortuna, sono allenata: non ho mai smesso di aprire uova di Pasqua. Dopo 32 anni e altrettante delusioni, continuo imperterrita a sperare di aprire, un giorno, l'Uovo Perfetto, e di non ritrovarmi con le lacrime agli occhi per aver riposto tutte le mie speranze in quella che poi si rivela solo una bella confezione colorata.

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