martedì 20 dicembre 2011

C'era una volta una gatta...

Avevo 5 anni e volevo un gattino a tutti i costi. Non facevo altro che chiedere ai miei genitori di prendermene uno e loro, ovviamente, mi rispondevano sempre "se sarai buona... chi lo sa!". Ed io, evidentemente, mi ci misi d'impegno e fui un vero angelo, perché una bella mattina, davanti al portoncino d'ingresso sul retro della casa, mia madre trovò una gattina siamese di circa tre mesi. Arrivò così, dal nulla. Nessuno ha mai saputo come fosse arrivata lì e nessuno ne reclamò mai la scomparsa. Mia madre la raccolse e la portò in casa.
Il pomeriggio di quello stesso giorno, i miei genitori mi fecero trovare una scatola rosa e dentro, con un bel fioccone rosa al collo, c'era la siamesina dagli occhioni blu. Sembra la descrizione di una pubblicità anni '80 della Barilla, ma andò proprio così.
Era proprio bellina. Tenera e morbida, tutta un dentino affilato, miagolava con un filino di voce e sembrava aver capito da subito che sarebbe stata bene in quella casa di campagna piena di persone. La mia bisnonna le trovò il nome, Gigia (classico nome toscano da gatta, versione femminile di "Gigi"). Non aveva molta fantasia, lo so. Ma essendo la gattina di un bel grigio chiaro sfumato di grigio più scuro, Gigia le stava benissimo, anche per assonanza.
Avevamo anche Chico, il vecchio cocker buontempone che viveva a casa mia già da prima che io nascessi, e al quale facevo di tutto senza che lui mostrasse un minimo segno di insofferenza. Quando arrivò Gigia, fra lei e il cockerone scoppiò il vero amore.
Stavano sempre insieme e dormivano nella stessa cuccia: lei si infilava tutta nel pelone del cane per sentire il calduccio e intanto muoveva le zampine facendo le fusa. Mangiavano perfino insieme, dalla stessa ciotola, prima lui e poi lei, perché gli anziani hanno la precedenza e questo la gattina lo aveva imparato bene.
Purtroppo l'idillio finì presto: Chico aveva già 17 anni ed era malato. Un paio d'anni dopo l'arrivo di Gigia, morì per un'infezione all'orecchio.
Per la gatta fu un trauma. Ogni mattina lo cercava, miagolando disperata. Correva fuori appena sentiva abbaiare un cane e aspettava per ore davanti alla porta di casa, ferma immobile.
Poi, ad un certo punto, riprese la sua vita da gatta e tutti pensammo che avesse finalmente dimenticato il povero Chico.
Finché un giorno di quasi due anni dopo, mio padre appese un calendario con una grande fotografia di un cocker che era identico al nostro. La siamesina salì sul tavolo, guardò verso il muro dove era appeso il calendario e rimase per qualche istante a fissarlo. Poi si avvicinò, ed emettendo un flebile miagolio che mai fino a quel momento le avevamo sentito fare, mosse la zampina verso la foto del cane, quasi a volerlo accarezzare. Rimanemmo tutti a bocca aperta, commossi. Anche adesso, mentre sto scrivendo e ricordando, mi è scesa una lacrima.
Quando, qualche anno dopo, morì anche lei, la seppellimmo vicino al cane, in giardino. Ogni tanto passo là davanti e non posso fare a meno di pensare che, per quanto grande sia l'intelligenza umana, non sarà mai in grado di scoprire cosa si celi davvero nei sentimenti degli animali che ci circondano.

Nessun commento:

Posta un commento