lunedì 5 dicembre 2011

Severamente vietato ai sani di mente

Oggi è una di quelle giornate in cui mi sembra di essere completamente insensibile a tutto ciò che mi circonda. Nessun interesse, nessun divertimento, nessun dolore. Credo sia una forma di protezione che mi sono creata, avendo passato recentemente un periodo piuttosto travagliato. Chiudo il mondo fuori dalla mia stanza, mi disinteresso a tutto ed a tutti, rispondo con gentilezza ma adeguato distacco a chi si rivolge a me per un consiglio, rido alle battute degli amici solo per educazione. In realtà, se qualcuno guardasse bene, vedrebbe che sto viaggiando col pilota automatico: la vera Michela in questo momento non è disponibile, si prega di riprovare più tardi.
Il problema è che ho una "maledizione" che mi perseguita da quando ero bambina: tranquillizzo la gente. Non so assolutamente come possa riuscirci, ma così è. Probabilmente perché non giudico, probabilmente perché non ho mai reazioni esagerate di fronte ai racconti degli amici (anche quelli più pruriginosi), forse perché ho un tono rassicurante o forse perché sembro sicura di me, sta di fatto che molti si rivolgono a me quando non sanno che fare e hanno bisogno di consolazione. E io sono sempre disponibile. Però...
Però ogni tanto mi capita di sentirmi sola. Essere la colonna a cui tutti si appoggiano è talora gratificante, ma a chi mi appoggio io nei momenti difficili? Ed ecco che l'unico modo che ho di tranquillizzarmi e di trovare un po' di serenità è quello di rinchiudermi nel mio piccolo mondo ovattato e stordirmi fino all'inverosimile con quella che ritengo la forma d'arte più pura e perfetta che esista al mondo: la poesia.
Come con qualsiasi altra forma d'arte, la poesia o la si ama alla follia o altrimenti si può imparare ad apprezzarla senza mai davvero sentirla dentro. Potrete leggere tutti i romanzi del mondo, andare in estasi per le trame, per l'uso che l'autore fa del lessico, per l'originalità con cui costruisce il periodo, ma mai niente vi farà sentire più completi, più in pace con il mondo, più sereni con voi stessi come, per fare solo un esempio, "Mattino" di Ungaretti: "M'illumino d'immenso".
Forse avrete sentito parlare dell' "Umami". In lingua giapponese vuol dire "saporito" e corrisponde al cosiddetto quinto gusto, dopo dolce, aspro, salato e amaro. Quando assaporate qualcosa che sia assolutamente delizioso (una pesca appena colta dall'albero, un formaggio cremoso che si scioglie in bocca, una salsa ricca), il sapore che sentite e che vi lascia quella sensazione di soddisfazione per aver mangiato qualcosa di perfetto, ecco, quello è l'Umami.
Per me la poesia è l'Umami della letteratura.
Fin da bambina piangevo per la morte di Silvia, mi domandavo insistentemente quale nome avesse fatto nitrire la cavalla storna, mi chiedevo cosa avesse provato la spigolatrice a veder morire il ragazzo dagli occhi blu e dai capelli d'oro, mi veniva voglia di abbracciare un cipressetto...
Leggere una poesia è come entrare in un microcosmo, è conoscere una storia a volte leggendo solo due parole, è un cerchio perfetto che si chiude in un attimo e ti lascia con il pensiero "non ci sono altre parole per dirlo meglio!", è una folgorazione. Per me è un ponte verso quella sensazione di sollievo dai troppi pensieri che spesso mi assillano e mi mettono ansia. È la colonna alla quale mi appoggio io.
Probabilmente molti di voi considereranno questo post come il vaneggiamento di una pazza in depressione, ma Goethe diceva "tutti gli uomini fuori dal comune che hanno compiuto grandi cose (...) sono stati in ogni tempo considerati ubriachi o pazzi". E mica vorrete contraddire Goethe?

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