giovedì 1 dicembre 2011

Un sorriso per il malumore

Stamattina ho ritirato la posta di mio padre e fra la varie bollette da pagare ho trovato l'immancabile lettera di auguri della S.MI.PAR (Scuola Militare di Paracadutismo), in cui venivamo invitati tutti alla festa del 15 Dicembre durante la quale "ci sarà un buffet e verranno consegnati i doni ai figli del personale in servizio". Ah, i bei tempi in cui anch'io facevo parte di quella schiera di bambinetti impazienti di ricevere il regalo... (poi hanno smesso di farmelo quando hanno capito che avevo raggiunto un'età in cui ero più interessata al militare che me lo consegnava che al regalo stesso). Ho conosciuto il mio primo "pretendente" proprio durante una di quelle feste lì. Si chiamava Dario, era figlio di un colonnello e aveva un anno più di me. Ogni anno ci vedevamo durante la festa dello scambio dei regali e non osavamo scambiare più di qualche parolina.
Poi, al compimento del mio dodicesimo anno, i miei genitori decisero che era giunto per me il momento di partecipare non solo alla festa di Natale, ma anche al famigerato Cenone di fine Anno che si teneva sempre nel salone delle feste del circolo Ufficiali.
Il circolo Ufficiali era quello per le feste importanti, quello dei Sottufficiali era per le feste informali;  io ero solita frequentare quest'ultimo, essendo figlia di un maresciallo, ma sentivo spesso parlare della mitica festa che si teneva nell'altro salone, ed ero davvero impaziente di parteciparvi. Immaginavo le donne con abiti lunghi e scintillanti e gli uomini in alta uniforme, immaginavo camerieri in livrea e guanti bianchi, vassoi ricolmi di prelibatezze e valzer viennesi. Ok, ero forse un tantinello influenzata da Cenerentola, ma vi assicuro che le mie fantasie si limitavano a questo e non parlavo coi topolini e gli uccellini.
In ogni caso, la sera del Cenone ero elettrizzata: mia madre mi aveva vestito come una bambola, con un vestitino di velluto blu notte, con la gonna svasata e il bordino di raso, e le scarpine di vernice. Avevo i capelli raccolti in una treccia tenuta ferma da un  fiocco di raso e l'immancabile frangetta sugli occhi.
Non nascondo di aver provato una certa delusione nel vedere che gli ospiti erano vestiti come in una qualsiasi altra festa di Capodanno un po' elegante: smoking per gli uomini e  normali vestiti da sera per le donne. Non c'erano abiti con i "sei metri di velo colore del cielo" e i camerieri avevano la camicia bianca a i pantaloni neri. Niente guanti bianchi. Tuttavia mi divertii.
Ovviamente a quella festa c'era anche lui, Dario. Rimanemmo per buona parte della cena a guardarci di soppiatto, a distanza. Lui mi sorrideva, io arrossivo. Allo scoccare della mezzanotte lui si alzò, si aggiustò un po' la camicia e il cravattino e mi venne incontro con un'espressione che, secondo me, si era studiato allo specchio per giorni e giorni (un misto tra Jhon Travolta e James Dean) e mi chiese con voce impostata "Vuoi ballare?", porgendomi la mano. Pensavo che avrebbe detto anche "Nessuno può mettere Michela in un angolo!", ma per fortuna non lo fece.
Mi alzai senza avere la minima idea di cosa volesse dire "ballare" (in realtà non ce l'ho nemmeno adesso che son passati 20 anni) e mi aggrappai tutta rossa al suo braccio. Muovemmo goffamente qualche passo, poi lui mi chiese di uscire in giardino, e anche se faceva freddo accettai. Passammo quindi tutta la restante serata a chiacchierare imbarazzati seduti sul bordo di una fontana raffigurante la Venere del Botticelli e alla fine ci scambiammo un timidissimo bacino a fior di labbra.
Ovviamente dopo quella sera non l'ho mai più rivisto, fino a qualche mese fa, quando, intenta a guardare una Barbie in un centro commerciale (potrei dire che volevo regalarla alla figlia di un'amica, ma in realtà la stavo guardando affascinata pensando di comprarla per me) mi si è avvicinato uno sconosciuto chiamandomi per nome. Panico. Chi è sto tizio? Ora che faccio? Sorrido e faccio finta di riconoscerlo, ovvio. Poi lui ha detto una cosa per la quale gli avrei gettato le braccia al collo e urlato "fammi tua direttamente nella corsia dei surgelati!". Mi ha detto: "Non sei cambiata per niente da quella festa di Capodanno!". E lì ho capito chi fosse. Le solite due parole di circostanza e ci siamo salutati. Ma il sorriso che mi ha regalato quel giorno, nel ricordarmi una serata in cui mi sono sentita davvero come una principessa delle favole, me lo tengo da parte tutt'ora per quando ho bisogno di qualcosa che sia a portata di mano e veloce nel farmi passare il malumore, come una pasticca per il mal di testa che ti tieni sempre nella borsa.

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